Questo libro è la cronaca di un autentico "suicidio" culturale: quello della Nazione italiana. Col tradimento, quotidiano ormai, dell'articolo 9 della Costituzione: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Dove? Quando?
Questo libro è costruito su fatti, cifre, notizie che diventano di per sé polemica: tanti sono i triboli inflitti, soprattutto dal 1994, alla tutela della immensa Bellezza — a parole sempre declamata — alla quale sono state prima sottratte le già modeste risorse dello Stato, fino a dimezzarle nel primo decennio del terzo millennio. Dissanguamento che ci pone al 22° posto in Europa davanti alle sole Grecia e Romania.
Questo libro racconta gli assalti ai paesaggi italiani (tanti da Nord a Sud, sempre straordinari), riempiti di cemento e di asfalto strade su strade, persino quelle poderali, un folle consumo di suolo, il doppio della media europea, erodendo i Parchi stessi.
Questo libro descrive ciò che stampa e tv molto spesso non descrivono: i guasti profondi e capillari di cosiddette "riforme" varate per decreto legge, per decreto ministeriale, persino tramite emendamenti dell'ultima ora, da Berlusconi a Renzi. Una situazione di paralisi e insieme di caos nell'amministrazione dei beni culturali e paesaggistici.
Un libro che documenta Belpaese e Malpaese.
Il 13 agosto del 1922 Gabriele d’Annunzio cadde dal balcone nella sua villa di Cargnacco a Gardone. Il 15 agosto avrebbe dovuto incontrarsi riservatamente in Toscana con Benito Mussolini e Francesco Saverio Nitti. Caduta accidentale o complotto? Il commissario Dosi dovette segretamente indagare, e lo fece con l’alias di Karol Kradokwill.
"Se D’Annunzio non fosse caduto dalla finestra e l’incontro con lui, Mussolini e me fosse avvenuto, forse la storia dell’Italia moderna avrebbe seguito un altro cammino." (Francesco Saverio Nitti, Rivelazioni, 1948)
Alfredo Panzini ha scritto romanzi «tra l’antico e il moderno»; Amedeo Maiuri ha ritrovato l’uomo d’oggi nelle dimore e lungo le vie delle antiche città dissepolte, rifacendo l’uomo antico ad immagine di quello d’oggi.
Sia l’uno che l’altro avrebbero potuto scrivere questo Viaggio nell’Abruzzo dannunziano invece di Donatello d’Orazio: il quale, tuttavia, ha trovato nell’Abruzzo una sostanza che non l’ha costretto a «immaginare», come Maiuri, né, come Panzini, a farsi uno stato di spirito tra la storia e la fantasia.
L’Abruzzo è, non tra l’antico e il moderno, bensì antico e moderno: nel suo giorno d’oggi implica il giorno remoto, come nella Basilica di San Giovanni in Venere, presso Fossacesia prospiciente la Dalmazia, nella quale il Cristianesimo fiorisce dal paganesimo; come nel bove che segue San Zopito nella processione di Loreto Aprutino, seguitando il toro egizio Apis; come nel Vocero di Civitaluparella, che perpetua intorno ai defunti quello dei romani, dei greci e dei giudei di duemil’anni addietro.
I chietesi, per non bestemmiare il nome santissimo della Madonna, imprecano: «Mannaggia la Maiella», ricordando così che in quella Montagna s’è impietrita Maia già invocata a soccorso dei raccolti dei loro campi...
«Combattere per un’idea, o sia pure per un sogno». Questo, in sintesi, il nucleo del romanzo L’incantesimo (1897) di Enrico Annibale Butti, a suo tempo famoso come Gabriele d’Annunzio, oggi ingiustamente dimenticato.
E L’incantesimo è una sorta di ideale continuazione – calata nella vita quotidiana – del dannunziano Le vergini delle rocce (1896), con il tentativo di ripristinare un regime aristocratico, spazzando via i cascami dell’Italietta liberale fin de siècle.
Seguendo le vicende e i pensieri di Aurelio Imberido, conte decaduto ma molto attivo, monarchico, elitario e fieramente antidemocratico (e ben conscio che «due di quei malviventi, purché sapessero scombiccherare il loro nome, pesavano più di lui sulla bilancia della Democrazia»), Butti riesce a realizzare un romanzo ideologico affascinante, che nel contempo è anche un vero capolavoro di introspezione psicologica, attento com’è a seguire tutti i moti dell’animo del protagonista.
La delicata ed intensa descrizione di una storia d’amore, mai dimenticata, tra il protagonista ed una donna che in tutte le sue espressioni di vita ricorda “Lilith” (di qui il titolo) la prima moglie di Adamo (Genesi 1.27). Una donna decisa a vivere la propria vita in assoluta libertà ed autonomia: dalla esuberanza dei sensi, alla gestione della rinuncia fino all’accettazione del dolore più grande… affrontato con dignità e rassegnazione.
Una figura femminile contrapposta ad un’altra (la moglie del protagonista) tradizionalmente dedita e sottomessa fin quasi a divenire ombra armonica e fluttuante nei confronti del proprio marito, così come ogni “brava” compagna deve essere secondo la figura della più nota moglie di Adamo: “Eva” (Genesi 2.18)...
Fatalità, fuoco e catarsi. Ecco il romanticismo di Vincenzo Bellini, il musicista siciliano “biondo e di gentile aspetto”, scomparso a soli 34 anni nel 1835. La sua musica è rimasta con le melodie “lunghe lunghe lunghe”, come scriveva Verdi, capaci di incantare le generazioni di ieri e di oggi per la loro bellezza e purezza. Norma, Sonnambula, I puritani sono tra i capolavori assoluti del teatro in musica di ogni tempo, tuttora rappresentati in ogni parte del mondo. Maria Callas, che ha fatto riscoprire Bellini negli anni Cinquanta, aveva colto il segreto dell’arte belliniana: la capacità rara di cantare l’anima, il sentimento dentro ad una atmosfera di ardore e di estasi al tempo stesso.
Protetto da Rossini, rivale di Donizetti, ammirato da filosofi come Schopenhauer e musicisti come Chopin e Wagner, Bellini è passato alla storia come una personalità elegiaca. Ma la sua vicenda personale presenta risvolti di un carattere determinato verso il successo, di fierezza mediterranea oltre che di passionalità romantica. Trasfigurati da una musica dove l’unità parola-suono è spesso perfetta. Bellini è il musicista di “Casta Diva”, ma anche quello di “Suoni la tromba e intrepido”. Un genio, rapito giovane come Mozart Chopin Schubert, ma capace di una intensità poetica straordinaria. Il cui fascino supera il suo tempo e dona a chi entra nel suo mondo una grande felicità...
La “Civiltà Cattolica” contro il Risorgimento: se nei primi numeri della rivista il principale strumento di battaglia era costituito dalla letteratura, con la trilogia di romanzi politici di padre Antonio Bresciani incentrati sui moti del 1848 (L’Ebreo di Verona, La Repubblica romana, Lionello o le società segrete), dieci anni più tardi, nel 1860, padre Taparelli dimostrò una particolare ampiezza di vedute non limitandosi alla critica del presente, ma inserendo la difesa dell’ordine tradizionale in un discorso politologico ben più ampio.
I suoi interventi, veri e propri saggi di “patologia storica”, trascendono gli avvenimenti per esaminare i principi messi in discussione dalla politica di aggressione del Piemonte.
Addirittura, nel saggio che dà il nome alla raccolta, prefigura addirittura il “Grande Fratello”, affermando, sulla scorta di Donoso Cortés, che ormai lo Stato può utilizzare i mezzi moderni per opprimere i suoi sudditi, dopo aver abolito la religione ed averla sostituita con il centralismo amministrativo: infatti tramite due nuove invenzioni, il telegrafo e le navi a vapore, può essere avvertito di ogni pur minima sommossa in qualsiasi parte del territorio e farvi rapidamente giungere truppe. E dal controllo di ogni pensiero dissidente alla sua repressione, il passo sarà breve...
Nella storia, i movimenti politici che hanno avuto un ruolo di rilievo sono stati sempre preceduti da un’attività culturale, sia in senso evolutivo, sia in senso involutivo. Vi ricordo le società di pensiero che hanno preceduto la Rivoluzione francese. Vi ricordo le università popolari che furono create dai movimenti marxisti prima di dare vita al partito socialista.
È evidente dunque la necessità di un’alternativa culturale per una vera alternativa al sistema. Dobbiamo fare una scuola di pensiero perché, o noi riusciamo ad esprimere una linea culturale all’altezza dei problemi della nostra generazione, o altrimenti siamo ineluttabilmente costretti a vivere nei confronti degli altri schieramenti politici in un vero e proprio complesso d’inferiorità...
L’etica laica o secolare o moderna è stata l’etica del dubbio sistematico. Nella nostra percezione del mondo, della società e della condizione umana il dubbio e la libertà sono inseparabili, sono fratello e sorella. Ma ora bisogna scegliere. Bisogna cioè smettere di dubitare, almeno entro certi limiti. Bisogna ricominciare, entro certi limiti, a sapere per credere e a credere per sapere. È un percorso pericoloso, esposto a dottrinarismi equivoci e a una riduzione della complessità infelice della cultura alla chiarezza troppo felice del dogma, ma è un percorso obbligato. Se tutto viene messo in dubbio, è ora di credere in qualcosa...
“Dio è rigorosamente escluso dalla vita pubblica”. Quando Benedetto XVI pone questo problema non interferisce per ragioni confessionali con la cultura moderna degli europei; ne rende semmai intelligibile, comprensibile, il passo nel tempo nostro e la proiezione nel futuro. La questione della verità come etica della ragione si ripropone come questione politica. Dio è il chiaro nome di tutto questo per il capo della Chiesa cattolica. Noi laici dobbiamo trovare a tutto questo un nome, e in fretta...
Alcuni passaggi del libro sono chiari e illuminanti, come ad esempio il racconto del rito della benedizione dei sepolcri: "In quel momento si pensava davvero, anche noi bambini, al purgatorio, al suffragio di cui le anime avevano bisogno". Era sì un momento dell'anno, una ricorrenza, ma anche una rappresentazione diretta delle cose di Dio, vissuta senza mai aver aperto un libro di teologia, senza aver fatto catechismo, immediatamente comprensibile anche per un bambino.
Eventi meramente folkloristici come la Festa del Grillo si affiancavano a celebrazioni sacre come l'Ascensione, rappresentando di per sé un vero e proprio calendario popolare di ampia condivisione in ogni singola piega di una comunità vera e omogenea.
Il calendario nel Borgo di Pucci Cipriani è composto certamente dai giorni che prendono vita nelle festività e ricevono significato dal calendario liturgico. Questo faceva sì che anche un bambino conoscesse bene i momenti dell'anno, ma soprattutto avesse ben chiaro il motivo e il perché si festeggiasse una ricorrenza...
Questo libro, frutto di un lavoro e di una esperienza di anni sul campo degli autori, vuole solo offrire un piccolo contributo alla comprensione e alla conoscenza di un’area geografica poco nota, ma di rilevanza fondamentale e strategica anche per il nostro Paese.
La Bosnia Erzegovina è sempre stata al centro di fondamentali episodi e fatti storici di grande rilevanza, all’origine di cambiamenti epocali nello scacchiere mondiale.
Un Paese che pur avendo una profonda matrice cristiana, mitigatrice nei secoli dei tentativi di radicalizzazione islamica, soprattutto nel lungo periodo della dominazione turca, è oggi nuovamente attraversata da realtà e presenze esterne che ne condizionano pericolosamente il futuro.
L’attenzione del mondo politico e dell’opinione pubblica nei confronti della Bosnia Erzegovina è bassissima ed anche chi dovrebbe vigilare e monitorare attentamente la situazione, dimostra uno scarso e incomprensibile disinteresse. La situazione va tuttavia progressivamente aggravandosi e pericolose presenze islamiche radicali vanno strutturandosi sul territorio, modificandone rapidamente i connotati...
La nascita della moneta costituisce un momento fondamentale della storia umana in grado di orientare non solo le strutture politiche, ma anche l’organizzazione della società.
Questo saggio si occupa non solo della formazione delle prime forme monetarie, ma soprattutto del processo culturale, mentale e spirituale che ha portato alla formazione della moneta come noi la conosciamo. Inoltre, studia quali sono state le “forme monetarie” prima che venisse creata la moneta strictu sensu, le basi sociali e culturali che alimentavano il più antico conio, la funzione dei simboli religiosi che alle origini permeavano totalmente le monete, il motivo del loro primitivo valore come fine dello scambio e non, come oggi, quale strumento primario di transazione.
Questo libro intende illustrare anche un momento particolare della storia culturale dell’Occidente, quello che attraverso la nascita della primitiva moneta ha contribuito a spezzare le relazioni della società antica con la sfera del sacro cancellando ogni riferimento al simbolismo tradizionale...
La rivolta di Martin Lutero, nel 1517, innesca un processo di dissoluzione della Cristianità che ha la sua espressione più coerente nelle sette del Cinquecento. Dagli anabattisti ai sociniani, il mondo sotterraneo che germina alla sinistra di Lutero, contribuisce a scatenare una rivoluzione religiosa che prefigura temi e motivi della Rivoluzione francese.
Il problema centrale, dal quale gli altri dipendono, è quello ecclesiologico. Le sette sviluppano infatti una nuova nozione della fede, dei sacramenti e dell'autorità della Chiesa, che mostra sorprendenti analogie con molte correnti del pensiero religioso contemporaneo...
La vita di Chiara rallenta il suo passo alla partenza di Matteo, con il quale ha condiviso praticamente tutto fin dalla nascita.
La ragione del suo repentino allontanamento le è sconosciuta, ma resta sempre a pungere dentro il cuore, quasi lei ne sia stata la causa.
La sua vita tuttavia continua, riprende la leggerezza della gioventù e s’incanala nella maturità, ma proprio quando Chiara è ormai pronta a dimenticare il suo primo vissuto una lettera le stuzzica il desiderio di sondare i motivi di quell’improvvisa separazione...
Un incontro, un’immediata amicizia, e Jazz Fraser si trova a liberare il suo segreto raccontandolo a una estranea: l’amica trovata un giorno, per caso, durante un viaggio a Hong Kong.
Chi è Jazz? Perché conosce l’amore soltanto a quarantun anni?
L’amica, depositaria di pezzi sparsi della sua vita li ricompone e ne partecipa. Ma è Jazz l’unica protagonista o lo sono tutte le storie prima e intorno a lei?
In un settembre romano ancora dorato d’estate il racconto dipana, cadendo nelle mani della narratrice.
“Raccontare accendeva la luce in qualche angolo rimasto in penombra. [Jazz] stava per offrirmi di entrare in alcuni di quegli angoli, senza guidarmi nel percorso. E non sapevo perché. [...] Ora mi stava consegnando un segreto [...] per rendere giustizia a se stessa liberandosi di un peso, che se consegnato non sarebbe più sembrato tale.”
“[Ed io] mi trovavo ad avere le mani aperte in grembo, che man mano si riempivano di foglietti colorati: i giorni della sua storia. E mentre i foglietti cadevano nelle mie mani cambiavano colore e trovavano il posto che io avevo deciso.”...
Un giovane ingegnere dell’ESA, l’ente spaziale europeo, e una brillante storiografa impegnata in uno stage presso la Biblioteca Vaticana si incontrano nel traffico di una frenetica, ma sempre romantica Roma. Lui è indaffarato a mettere a punto i sistemi ambientali che garantiranno aria e acqua pulita a bordo dello SkyRider, la prima navetta con equipaggio umano destinata a raggiungere Marte, mentre lei è quotidianamente alle prese con la Roma del ’700 e con le malefatte compiute in quel periodo dalla Santa Inquisizione. Due mondi distanti e diversi tra loro come il giorno e la notte che vengono casualmente in contatto proprio alla vigilia di quello che si rivelerà, per entrambi e per motivi diversi, un momento cruciale delle loro vite. A spingerli l’uno verso l’altra, la carismatica presenza di Raimondo di Sangro, settimo Principe di Sansevero e ideatore della famosissima cappella omonima sita nel cuore di Napoli che, col suo Cristo Velato, è meta ogni anno di migliaia di visitatori da tutto il mondo.
Ma il vero protagonista del romanzo è forse proprio l’affascinante figura del Principe di Sansevero che aleggia in tutte le pagine del libro: Raimondo Di Sangro fu un personaggio misterioso e controverso che, con le sue pratiche esoteriche, divenne l’assoluto dominatore della corte borbonica napoletana per tutto il diciottesimo secolo. Ancora oggi sono tantissimi i misteri e le leggende che ancora circolano sul suo conto, ed è proprio da uno di questi antichi enigmi irrisolti che prende vita la trama di questa coinvolgente avventura, che getta un godibile ponte tra le storie insolute di oltre due secoli fa e la tecnologia e le vicende socio-politiche dei nostri giorni...
C’è una sottile parete che separa realtà e fantasia, che sfuma in tinte sfocate cosicché da impedirci l’esatta ricognizione dei limiti di entrambe.
È in questa sorta di limbo che si muovono i cinque racconti della raccolta di Paolo Borile, dove la fantasia diventa di volta in volta il non detto, l’insperato, l’equivoco che non permettono l’esatta percezione di ciò che sta accadendo o lo distorcono, lasciando i protagonisti comunque attoniti o, come Jack Lanterna, increduli e inevitabilmente persi.
Ma solo la consapevolezza dell’esistenza di quel confine consente una visione d’insieme, onesta e sincera, a volte impietosa ma sempre preferibile a una verità amputata...
Per penetrare in queste dense pagine, arricchite dalla Presentazione di Jérôme Thélot, bisogna apprezzare la voce singolare di cui era dotato Georges Blin: una nitidezza un po’ fiera nella padronanza della forma, un’altezzosità asciutta ma distinta, una compostezza severa. Il saggio principale del volume spiega la tesi indicata dal titolo. Esiste effettivamente un «Sadismo di Baudelaire», una corrispondenza di vedute e di esperienze fantasmatiche, a proposito del desiderio erotico, fra il poeta e il romanziere.
Combinando antropologia e psicoanalisi, l’autore svolge una tematizzazione articolata del sadismo baudelairiano, esaminato alla luce dei lavori degli specialisti più accreditati dell’epoca, da Freud a Havelock Ellis, da Krafft-Ebing a Klossowski, ritrovando fra i due autori alcune identiche attestazioni di una stessa relazione col carnale – fatta di crudeltà, di godimento sacrificale e di cosificazione dell’altro – che dimostrano la fondatezza dell’accostamento istituito.
Il critico si sofferma poi, in un dialogo mai interrotto col pensiero di Sartre, sull’ontologia di ognuno dei due. Se il «sadismo del marchese de Sade tende a servire e a magnificare la natura», quello di Baudelaire «mira a correggerla e a soffocarla». Georges Blin distingue il «positivismo» naturalista del primo dallo «spiritualismo» del secondo, che trova nell’eredità di Agostino e di Pascal una morale gravata dalla colpevolezza, a indicare che siamo lontani dall’autore di Justine e sulle terre del conte de Maistre...
Il mémoire sull’Influence de l’habitude sur la faculté de penser, pubblicato da Maine de Biran nel 1802 dopo aver vinto un concorso bandito dall’Institut de France, costituisce una solida base speculativa su cui sorgerà il suo pensiero maturo, centrato sulla teoria psicologico-metafisica dell’effort. «Tutto il Biran anteriore al 1813», ha scritto argutamente Georges Blin, «è già contenuto in questo trattato notevole la cui Introduzione, soprattutto, non fa una piega».
La scelta editoriale di proporre l’Introduzione biraniana nella presente collana, impreziosita da una Presentazione di Marco Piazza, è ispirata dall’ermeneutica di Georges Blin. Il mémoire si configura come un breve ma denso traité des sens in cui l’autore, ponendosi apparentemente con deferenza nel solco dei maestri ma riformulando in termini nuovi e alternativi la teoria delle sensazioni di Condillac, procede a una distinzione metodologica fra «sensazioni» e «percezioni».
Distinguendo la sensazione, o impressione passiva, dalla percezione, o appropriazione riflessiva, il filosofo francese non ha difficoltà a spiegare che la propria «circoscrizione» comincia con il secondo stadio, cioè con lo sforzo, visto come una tensione volontaria costante che ci costituisce e senza la quale non può esserci conoscenza di alcun tipo. Una rivelazione che porterà Biran, già dal mémoire sull’abitudine, molto più in là di Destutt de Tracy.
L’impressione derivante dalla facoltà motrice è ben più ricca e complessa di quella sensitiva e racchiude il «giudizio di personalità», cioè la presenza del soggetto, quel preciso riferimento dell’impressione all’io che costituisce propriamente la coscienza. Sotto tale aspetto le ricerche di Biran tendono a consuonare con quelle odierne delle neuroscienze sulla teoria della conoscenza, soprattutto quando affermano che non è possibile percepire il mondo prescindendo dall’elemento motorio...
Il dolore è un dato coessenziale all’umano sentire e costituisce da sempre motivo d’interrogazione filosofica perché coinvolge sia il corpo che la mente e rimette in discussione il dualismo ontologico. Non è solo una sensazione fisica dovuta a una lesione organica, come afferma l’International Association for the Study of Pain, ma è anche un’esperienza affettiva. Un punto, questo, su cui converge l’odierna riflessione filosofica.
Il presente volume nasce da una collaborazione di pratica filosofica avviata a Palazzo Francisci di Todi, dove ha sede il primo centro pubblico italiano dedicato ai Disturbi del Comportamento Alimentare. Le autrici, partendo dalle posizioni di Paul Ricœur esposte nello scritto La souffrance n’est pas la douleur, propongono una rilettura di quelle pagine dove il filosofo francese, fedele alla massima «spiegare di più per comprendere meglio», torna a interrogarsi sul tema segnando i «confini» fra dolore fisico e sofferenza psichica.
Lo scritto di Ricœur, pubblicato qui in italiano quale secondo capitolo, coniuga l’etica della sollecitudine con un’ontologia della cura. I due ultimi capitoli indicano due itinerari esegetici personali, diversi per timbro e per impostazione, uno di ordine più generale, l’altro più centrato sul testo, grazie ai quali è possibile aggiornare il dibattito. Paolo Pullega, nella Presentazione al volume, si sofferma sul dolore visto come esperienza paranoica, come un ante-agire analogo al modo di produzione del materiale inconscio...
Cos’erano prima dell’estetica, disciplina nata nel 1750, gli oggetti cui oggi diamo il nome di ‘opera d’arte’? Erano oggetti che servivano a qualcosa. La loro funzione poteva essere religiosa o politico-celebrativa. Se vogliamo capirne la funzione propria, spiega Paolo Pullega, dobbiamo ricorrere all’economia classica e adottare il concetto di ‘valore d’uso’ che gli economisti attribuivano ai prodotti per ciò che servivano.
Se riusciamo ad assegnare un valore estetico a un oggetto, da un orinatoio a una carcassa di animale in paraffina, il suo valore economico può crescere in misura esponenziale. Il nodo è l’attribuzione di un valore estetico che determina l’oscillazione di quello economico. Esiste un’«equivalenza» fra estetica ed economia, una corrispondenza di valori. L’apoteosi della bellezza è anche quella del denaro.
Il rapporto fra dimensione estetica e dimensione economica, nato come problema reale solo nella modernità, acquista un rilievo esasperato nella prospettiva della società della comunicazione. Altri temi vengono qui abilmente esaminati dall’estetologo bolognese, dal concetto di straniamento a quello di riproducibilità dell’opera d’arte, dall’idea di originale a quella di copia.
I cinque saggi che compongono la silloge, spesso nati da articoli occasionali sul tema, costituiscono un dialogo a distanza con Walter Benjamin. Ma il dibattito, assai più vasto, investe la ‘profezia’ di Hegel e la crisi del mercato del lavoro nel XXI secolo, le nozioni di alienazione, di aura e di autenticità...
Polifemo, pieza breve escrita por Leopoldo Marechal en 1948, se inserta en una tradición del teatro argentino del siglo XX que reelabora temas y episodios de textos grecolatinos, donde el mito y la historia se entrelazan para dar cabida a la reflexión sobre la identidad nacional. Marechal parte del Canto IX de la Odisea homérica, cuando Ulises llega con sus compañeros a la gruta del cíclope; desde ese momento se desencadenan episodios hilarantes inspirados, a su vez, en el drama satírico de Eurípides El cíclope. Como en las metamorfosis de Ovidio, el escenario es Sicilia, pero el escritor argentino se aparta voluntariamente de las fuentes clásicas para aportar elementos característicos de la cultura local: gastronomía, música, figuras arquetípicas de la historia nacional, nombrados en un idioma pleno de inflexiones y giros regionales. Con Polifemo, una obra escrita hace casi setenta años pero inédita hasta el día de hoy, Edizioni Solfanelli hace posible, por primera vez, la lectura en español y en italiano de un texto polifónico que juega con la tradición clásica argentinizándola con inteligencia y humor...
El presente volumen ofrece un examen de la narrativa del escritor chileno Jorge Edwards (Santiago, 1931), Premio Cervantes en el año 1999, analizando tres novelas que el autor santiaguino ha ido redactando a lo largo de casi veinte años.
En la década del sesenta del siglo XX, la publicación de El peso de la noche (1964) pone de relieve la voluntad de representar la escisión social, económica y cultural de Chile y evidencia una de las características de la obra narrativa de Edwards: la presentación del declive de una estructura social anacrónica todavía anclada a un sistema estamental que impone rígidas jerarquías y códigos culturales que, a su vez, dan lugar a una cierta manera idiosincrática de interactuar, y –por ende– influencian la percepción de la otredad en el ámbito social nacional.
El estudio de la novela Los convidados de piedra (fresco epocal que vio la luz justo en el año del golpe de estado de Pinochet, en 1973)...
Questo libro è il frutto di una riflessione comune sulla traduzione in tutti i suoi aspetti; linguistici, letterari e culturali. Fin dal titolo, Sulla traduzione. Itinerari fra lingue, letterature e culture, l’obiettivo dichiarato è quello di sondare l’identità plurale della traduzione e di allargare il campo degli studi sul genere alle influenze di altre discipline umanistiche. La pratica linguistica della traduzione ha infatti, in senso ampio, giocato un ruolo fondamentale per la costruzione delle nostre culture contemporanee ed è destinata, senza dubbio, ad assolverne uno ancora maggiore in un mondo in movimento, nel quale il contatto tra lingue e culture diverse è costante, e siamo chiamati a vivere, a parlare, a scrivere, per usare le parole di Édouard Glissant, «in presenza di tutte le lingue del mondo».
La divisione del volume in due parti, la prima dedicata alla pratica della traduzione letteraria e la seconda consacrata alla traduzione come processo culturale, non vuole riflettere una presunta separazione tra pratica della traduzione e aspetti culturali che essa comporta, mobilita e da cui è influenzata. I sentieri che attraversano il tema dell’“ospitalità del testo” e della “traduzione dell’altro e dell’altrove” sono al tempo stesso indipendenti e ricchi di intersezioni: abbiamo provato a collocarci sugli incroci per moltiplicare le strade verso cui aprire lo sguardo...
Ramón Gaya (Murcia, 1910 - Valencia, 2005) approdò in Italia nel 1956 in maniera definitiva, dopo un lungo esilio messicano iniziato nel 1939 e causato dalla sconfitta della II Repubblica spagnola e dall’inizio della dittatura franchista.
Fin da bambino Gaya aveva dimostrato un innato talento per la pittura che a soli diciassette anni lo portò, grazie a una borsa di studio, prima a Madrid, dove conobbe le più eminenti figure dell’arte e della cultura spagnola, e poi a Parigi dove frequentò l’avanguardia pittorica di allora, Picasso tra gli altri.
Saggista e poeta non tardò a farsi conoscere attraverso le riviste quali Verso y Prosa, Mono azul, Hora de España in Spagna e Las Españas, Cuadernos Americanos, El hijo Prodigo in Messico.
Nel 1960, a Roma viene pubblicato il suo primo volume, Il sentimento della pittura, nella collana dei “Quaderni di pensiero e di poesia” a cura di Elena Croce e María Zambrano nella casa editrice De Luca, volume che pochi mesi dopo apparirà nell’edizione spagnola...
La guerra civile siriana è un conflitto del quale si crede di sapere oramai tutto. È proprio così? Cosa c’entrano i progetti di costruzione della Q-T Pipeline e dell’Islamic Pipleine con la genesi dello scontro? Che ruolo hanno ricoperto i servizi segreti di tutto il mondo nella concreta destabilizzazione politico-sociale che ha colpito la Siria e il regime di Assad?
Questo libro vi condurrà alla scoperta dei segreti più reconditi, che si celano dietro al conflitto civile più lungo e cruento degli ultimi anni. Intrighi, trame oscure, la sensazione di trovarsi dentro una casa degli specchi, dove nulla è reale e tutto è riflesso. Questi sono solo alcuni degli elementi che rimarcano i contorni di un’intricata guerra di spie, combattuta sino all’ultimo sangue, per tutelare gli interessi delle maggiori superpotenze mondiali in tutto il Medio Oriente.
La CIA e l’operazione Timber Sycamore, la guerra internazionale al cyber terrorismo e il ruolo attivo dei contractors nel conflitto civile; attraverso una chiara e lucida analisi geopolitica, questo libro racconta cosa è veramente accaduto durante il conflitto in Siria, indagando e definendo il concetto cardine su cui poggia l’intera vicenda militare e politica: la cosiddetta “guerra per procura”...
Per le società odierne, tecnicamente progredite, lo sviluppo economico è un mito, una sfida e nello stesso tempo il marchio distintivo che ad esse assegna il posto nella graduatoria delle nazioni civili. Ma è una distinzione illusoria. Il prodotto interno lordo e il reddito medio procapite sono certamente importanti per determinare il livello raggiunto da un Paese. Ma non sono sufficienti a farcene comprendere la qualità della vita. Lo sviluppo economico non è direttamente proporzionale al progresso civile.
Un Paese tecnicamente ed economicamente progredito può andare incontro a regressioni paurose, di cui nel secolo scorso si hanno avuto esempi inaspettati e tragici. Non si tratta di criticare il consumismo. Esercizio che riesce molto bene a chi abbia già consumato. Più chiaramente: lo sviluppo è un valore strumentale. Non è fine a se stesso e non va confuso con la pura e semplice espansione...
In una società fondata sulla divisione del lavoro e sulla conseguente specializzazione delle mansioni, l’intellettuale, in quanto specialista delle idee generali, è scandalo e sfida. Soprattutto nella società dominata dal Web elettronico l’intellettuale sembra destinato all’obsolescenza: una figura superflua, residuale, inutile. E tuttavia, quale custode e praticante dello spirito critico, l’intellettuale resta massimamente necessario.
Questo libro riprende temi già trattati in altri contributi, pubblicati dall’editore Solfanelli, in particolare Osservazioni sul lavoro intellettuale e La conoscenza partecipata. Quando lo spirito critico venisse completamente meno l’intellettuale scadrebbe inevitabilmente a fine dicitore, tecnico della regola, maggiordomo del potere. Ancora una volta avrebbero ragione gli antichi padri: «Corruptio optimi, pessima»...
Nel 1959, a seguito dell’«inchiesta Merra» (fortemente voluta dal primo «Governo Milazzo»), si registrò un deciso cambiamento di rotta nella gestione dell’«Ente per la riforma agraria siciliana» (Eras). Il 99% dei funzionari dell’Ente era stato, infatti, assunto per chiamata diretta e rispondeva spesso agli interessi della mafia, che regolarmente frequentava, con alcuni suoi uomini di spicco, gli uffici centrali di Palermo per rimarcare tutto il suo peso nella gestione della riforma agraria.
Con l’avvento del nuovo corso politico «milazziano» fu, invece, possibile estromettere alcuni capimafia dai Consigli di amministrazione dei Consorzi di bonifica e di istituire una Commissione, presieduta per l’appunto dal giudice Pietro Merra, sulla gestione dell’Eras.
La Commissione nel giro di soli tre mesi porterà alla luce una diffusa mala gestio, avallata ovviamente dai vertici dell’Ente, a partire dall’acquisto di terreni per la riforma agraria a quattro o cinque volte il loro reale prezzo di mercato...
Pubblicato nel 1719, Robinson Crusoe si colloca all’origine del romanzo moderno non solo nella celebrazione dell’individualismo borghese, ma anche nella definizione di una prosa in cui s’incontrano realismo e invenzione artistica. Oltre ad essere interprete e icona del nascente spirito commerciale, il suo eroe è in primo luogo un mito culturale che ha ispirato e continua a ispirare riscritture, rifacimenti, trasposizioni filmiche e teatrali, traduzioni in tutte le lingue conosciute.
In quanto puritano e dissenziente, Daniel Defoe – giornalista, viaggiatore e cronista dei cambiamenti socioeconomici – scrisse Robinson Crusoe con l’intento di proporre “un libro di robusta ossatura morale” (Italo Calvino). Tuttavia, i risultati andarono ben oltre le intenzioni autoriali: imitata in tutta Europa, l’opera divenne subito parte dell’immaginazione popolare e da allora rimane uno dei romanzi più letti e amati di sempre.
Come leggere “Robinson Crusoe” presenta una lettura del testo che pone particolare attenzione alle sue molteplici tematiche al di là di ogni rigida gabbia interpretativa...
Quando nel 1899 Joseph Conrad pubblicò a puntate Heart of Darkness, proprio a ridosso del nuovo secolo, egli non poteva certo prevedere l’impatto di quel racconto sull’immaginario letterario e artistico mondiale. Da quel momento i sistemi culturali occidentali si sarebbero riflessi nello specchio oscuro delle vicende raccontate dall’ambiguo, e tutt’altro che eroico, traghettatore di storie che risponde al nome di Charlie Marlow.
Heart of Darkness, in superficie, sembrerebbe solo il resoconto del viaggio fallimentare di Marlow all’interno dell’Africa, inviato da una compagnia commerciale lungo il fiume Congo con lo scopo di ritrovare le tracce dell’emblematico comandante di una stazione d’avorio, il sig. Kurtz. Tuttavia, con l’approssimarsi di Marlow al cuore di tenebra africano, i contorni della narrazione e persino l’associazione tra segno e senso sembrano sfaldarsi, fino a condurlo al nucleo ultimo di un “orrore” atavico, eppure pienamente calato nella modernità. Se la storia della letteratura sarebbe cambiata da allora in avanti, anche quella dell’Africa sarebbe stata riscritta secondo nuove coordinate ideologiche, che avrebbero spazzato via le eroiche (benché menzognere) narrazioni di penetrazione e conquista coloniale per fare spazio a una più amara riflessione sulla presunta superiorità dell’uomo bianco.
Dopo aver offerto una panoramica della “poetica dell’esperienza” di Conrad, finalizzata ad introdurre il lettore nell’universo narrativo della sua storia di ambientazione africana, Come Leggere ‘Heart of Darkness’ propone un’analisi serrata delle tematiche principali del racconto, suggerendo spunti per ulteriori decodifiche di una vicenda che ha ormai valicato i suoi stessi confini cronologici e geografici, per proiettarsi nel tempo e nello spazio infinito dei capolavori letterari...
A Passage to India fu l’ultima opera scritta da Forster. Pubblicato nel 1924 e ispirato da due viaggi compiuti dall’autore in India, il romanzo non ha solo l’obiettivo di esplorare i complessi rapporti tra Oriente e Occidente, ma è anche un’analisi delle possibili convergenze di valori individuali e sociali colti nella prospettiva degli ideali umanistico-liberali. Gli interrogativi che Forster si pone sono gli stessi che avevano occupato le sue opere precedenti, contestualizzati in un diverso scenario: è possibile creare legami tra gli esseri umani? Che cosa accade quando i principi morali su cui si fonda la società sono dislocati in un territorio estraneo? I dilemmi esistenziali possono trovare soluzioni abbracciando la dimensione mistica e spirituale della vita?
Dal punto di vista formale, A Passage to India assume un ruolo importante nella letteratura dell’inizio del Novecento come rappresentazione del disagio legato alla forma del romanzo in quanto genere letterario non più adatto a ritrarre la complessità dell’esistenza. Allo stesso tempo, esso delinea la volontà di cercare nuove forme di espressione che si allontanano dal realismo ottocentesco privilegiando i livelli simbolici della coscienza, senza però risolversi nell’astrazione del modernismo. Come leggere “A Passage to India” si propone di fornire una lettura che evidenzi la posizione di Forster in bilico tra sentire tardovittoriano e impulsi antivittoriani, mostrando come, dalla destabilizzazione generata dal conflitto degli opposti, emerga il quadro del rapporto tra individuo e mondo...
Pubblicato nel 1854, Hard Times si impone subito all’attenzione del pubblico sia per il suo dichiarato intento polemico (negazione della validità dell’utilitarismo), sia per il grande impatto immaginativo che Dickens riesce ad esercitare sui lettori vittoriani. Toccando temi che combinano umanesimo e industrializzazione, difesa dell’individuo e movimenti sindacali, affermazione del principio di libertà milliano e implicita visione cristiana del mondo, lo scrittore dimostra che non esistono facili formule o gratificanti definizioni per configurare la complessità dei rapporti umani.
Con la pubblicazione di Hard Times, il romanzo vittoriano subisce un notevole impulso in direzione di una rappresentazione realistica della società coeva, senza tuttavia rinunciare mai al piacere di una visionarietà di nuovo conio. In Hard Times, Dickens mostra come la sua arte sia “inimitabile” e abbia già il respiro e l’impegno morale delle grandi opere della maturità...
Le molteplici e false “leggende nere” sulle vicende secolari della Chiesa cattolica trovano terreno fertile nella disposizione generalizzata alla diffamazione. Papa Borgia e la sua famiglia, in particolare sua figlia Lucrezia, sembrano posti lì, all’alba della modernità, proprio per portare acqua al mulino di coloro per i quali la Chiesa, lungi dal poter rivendicare qualsiasi origine non meramente umana, altro non sarebbe che una organizzazione criminale assimilabile alla mafia.
Gli scopi di questo libro, nel tentativo di evitare sia il “riduzionismo storicistico” sia l’assolutizzazione dell’orizzonte esclusivamente temporale, è quello di provare a delineare un approccio che sia aperto all’apporto di quanto l’indagine storiografica, per sua natura, non può accertare, se non tutt’al più presumere per soli indizi esteriori.
L’auspicio è che questo lavoro di divulgazione possa contribuire ad una migliore conoscenza della figura di un Papa molto discusso e della sua chiacchierata figlia, quindi ad una più serena e maggiormente obiettiva riconsiderazione di una pagina controversa della storia della Chiesa cattolica, e a rendere giustizia alla memoria di una donna troppo ingiustamente diffamata...
Questo lavoro è il risultato di una lunga ricerca e raccolta di materiale, documentazione e testimonianze, nonché della lettura di testi misconosciuti abbandonati all’oblio, in cui sono stati quasi maniacalmente collezionati frammenti di quotidianità dei paesi comunisti. Si tratta dunque prevalentemente di notizie minori, che proprio per la loro immediatezza danno forse maggiormente da pensare poiché colpiscono come un pugno nello stomaco, violento ed improvviso.
In queste pagine trova corpo quel che è stato ed è il comunismo e forse nello stesso momento in cui il lettore si addentra nella lettura un ennesimo grido di dolore, che non dobbiamo ignorare, si erge ancora in qualche angolo del mondo comunista. Queste pagine trasudano lacrime, non raccoglierle sarebbe criminale...
Quando si parla della Spagna si omette,
nella stessa terra iberica, di parlare scientemente dell’esperienza politica e istituzionale del falangismo di Francisco Franco (1892-1975) che ha rappresentato una versione particolare del pensiero politico europeo del XX secolo, ma è stato spesso erroneamente interpretato come una variante locale del fascismo italiano.
In questo breve studio affronteremo invece l’analisi dei fondamenti politici e delle condizioni storiche che hanno condotto al falangismo, confrontandolo con il fascismo all’apice del suo potere e poi di fronte al colpo di stato del 25 luglio 1943 che ne segnò la traumatica fine.
In un’epoca segnata dalla depravazione della politica moderna e dalla inarrestabile baldoria degli usurai, la riforma corporativa dello Stato, elaborata nella Normale di Pisa, offre un termine di paragone utile agli studiosi seriamente impegnati nella ricerca di una via d’uscita dall’angoscioso/soffocante tunnel mondialista. Di qui la proposta di riabilitare il pensiero di Giuseppe Bottai, il geniale politologo, che aveva svelato le ragioni del primato del cattolicesimo nell’esperienza fascista.
Negli anni Cinquanta, Bottai avrebbe potuto dare un senso al partito post-fascista, sottraendolo alla solitudine sognante un’anacronistica alternativa di sistema, prima di adeguarlo al compito di riformare la democrazia liberale. Bottai fu purtroppo respinto da quell’invidia mascherata da sterile intransigenza, che condurrà la destra italiana sulle vie di quella cieca ambizione, che passerà dall’antifascismo farneticante alla catastrofica identità liberale, prima di essere maciullata dall’ingranaggio costruito dall’oligarchia mondialista...
Antigone, che invoca contro Creonte tiranno di Tebe le “non scritte ed incrollabili leggi dei Celesti, che eterne vivono e niuno conosce il dì che nacquero”, è il simbolo di tutti i popoli, della gente comune ostinata a credere nell’esistenza del diritto naturale, di un immutabile ordine superiore, metro di misura del giusto e dell’ingiusto. Analogamente Creonte, che le vieta di dare sepoltura al fratello, perché caduto combattendo contro la patria, rappresenta la lunga schiera dei tiranni che, come lui, pretendono di “qualsiasi legge imporre sui morti e sopra noi pur vivi”.
Oggi però di fronte ad Antigone si erge, ben più pericoloso di tutti i despoti che l’hanno preceduto, il Creonte contemporaneo, reso invincibile dall'alleanza fra la liberal-democrazia, che, inquinata dal relativismo etico, pretende di attribuire valore universale al proprio meccanismo maggioritario e di far coincidere la giustizia con la mutevole volontà della maggioranza, e i diritti umani nella loro ultima versione, figlia del soggettivismo, che trasformano in diritto “ciò che a ciascuno piace”...
“La virtù è un dono che sovrabbonda alla felicità della vita. Nulla può mancare all’uomo oltre il desiderio di tutte le cose. Se noi abbiamo la forza di espellere tutti gli errori e di sollevarci da questo fango e mirare alle sublimi altezze della sapienza, abbiamo la tranquillità dell’animo e la vera libertà. Abbiamo su di noi la massima potestà.” (Seneca: epist. LXXV)
Presentato in questa pubblicazione, il pensiero antropologico, che unisce lo stoicismo e il cristianesimo, conferma anche lo stretto legame tra fede e ragione, facendo ricordare come la filosofia faccia parte integrante della teologia sistematica.
L’Autore dimostra la convergenza tra cultura stoica e cultura cristiana sul campo dei valori costitutivi della persona umana: aspetto questo che rende lo scritto molto attuale in un’epoca di profondi cambiamenti culturali, in cui si osservano le forti tendenze all’eliminazione del fattore soprannaturale dall’attività umana...
Due saggi differenti per analizzare la produzione dialettale abruzzese di Gabriele d’Annunzio. Licio Di Biase ripropone poesie e lettere dialettali del Vate corredandole di notizie storiche e di opportune riflessioni sulla Pescara del tempo; l’intervento di Daniela D’Alimonte, che mancava agli studi dannunziani, per la sua impostazione rigorosamente linguistica, apporta un contributo definitivo all’analisi delle scritture dialettali del poeta. Proposte preziose entrambi, che concorrono a fare luce sui legami di d’Annunzio con volti e nomi della sua trasognata nostalgia abruzzese...
Presente da sempre nella grande letteratura del Novecento come uno scrittore estremamente realistico fino alla brutalità, e dalla vita avventurosa fatta di sfide continue e affrontata con estrema concretezza, pochi sanno invece che Louis-Ferdinand Céline fu anche vicino ai misteriosi messaggi che ci giungono dall’Altrove. Confesserà infatti che per lui, che possedeva un’immensa riserva di poesia e immaginazione, il quotidiano sarà sempre solo un duro dovere di denuncia: «Io sono celtico, prima di tutto SOGNATORE BARDICO — è veramente là il mio dono — io l’ho piegato al realismo per odio verso la crudeltà degli uomini — per il gusto della lotta — ma in realtà la mia musica è la leggenda.»
E in effetti Céline fu profetico e visionario come i Druidi ed ebbe molte esperienze di precognizione. Il suo rifugio contro gli orrori del mondo contingente, che la sua penna denunciava spietatamente, sarà quella che chiamava la “féerie”, il mondo di Entità e di Archetipi mitici, che per lui furono la Danza, la Musica, la Leggenda e il Mito, i Castelli, l’Arte, i Gatti, i Fantasmi. Là dove regnano l’extrasensoriale e il paranormale, il mondo di quelle vibrazioni che lo scrittore chiamava le “onde”, dalle quali confessava gli arrivasse il suo dire, e al quale hanno accesso solo pochi privilegiati, come gli artisti, i sensitivi, i mistici. Come celtico, si sentì sempre figlio di quel Paese favoloso, nelle cui foreste occhieggiano creature come gli elfi, i folletti e le fate. Non a caso infatti Céline amò particolarmente Hieronymus Bosch, il Mago della Visione...
Nell’opera narrativa di Theodor Storm — uno degli scrittori in Germania più popolari, soprattutto per Immensee, lettura prediletta del giovane Mann — Am Kamin rappresenta senz’altro un’eccezione. Lo stesso Storm esitò a lungo prima di pubblicare questa novella così inquietante, dove, come ebbe a dire, “il mondo quotidiano non viene percorso in ferrovia, ma con gli stivali delle sette leghe”.
Come scrive nell’Introduzione Antonio Pasinato, Davanti al cammino «presenta situazioni in cui fenomeni che superano e contraddicono l’esperienza sensibile non solo si combinano con il noto e il quotidiano, ma lo sconcertano, diventandone ora la guida, ora la catastrofe, ora infine restando solo un sinistro segnale, lanciato da un mondo sconosciuto.»
Il motivo ricorrente e più originalmente articolato delle storie narrate è quello dei sogni incrociati, dove i rapporti umani sembrano prendere una piega più autentica. Alcuni di questi momenti onirici possono sembrare una comoda duplicazione della realtà; altri invece ne rivelano il lato più vero, che può essere crudele, ma anche gratificante...
Dal libro I servi nascosti e altre storie molto antiche (1901), sono tratti il poemetto Il crocifisso della Providenza, La vecchia cantastorie (fungente da proemio), I lupini e Suora Marianna — splendidi per il perfetto equilibrio tra narrazione e poesia, per le introspezioni della natura e degli animi, per il climax verso l’apparizione sacra. La Sorellaccia — mai edito in volume nemmeno in America — è il capolavoro in prosa di Francesca Alexander assieme alla Storia di Ida. Anzi, qui forse il realismo dello stile si fa ancora più ardito, per il cambio di scena, senza soluzione di continuità, tra la dimensione terrena e quella celeste.
Nel 1877 l’autrice quarantenne regalò il manoscritto — ottanta pagine in-folio — a Pauline Agassiz Shaw (1841-1917) a cui si deve l’introduzione in America degli asili infantili e di scuole per bambini immigrati ebrei e italiani.
«Francesca sentiva — ricordò Constance — che gli italiani potevano essere capiti solo attraverso l’amore, e fu proprio questa chiave che le apriva tutti i cuori. Diceva: “Non ho mai visto una persona malvagia. Ho visto coloro che erano chiamati malvagi, ma erano del tutto buoni e cari”.» ..
Per accertare l’origine di un suono possente e misterioso, il naturalista inglese Bassett penetra nel “cuore di tenebra” dell’isola di Guadalcanal. Inseguito dai cacciatori di teste e spossato dalla malaria, Bassett viene soccorso infine da una donna dall’aspetto ripugnante che lo conduce nella propria tribù e s’innamora di lui. Sfruttando cinicamente l’amore di costei, egli riuscirà a scoprire la fonte di quel suono soprannaturale: sepolta nell’altopiano dell’isola giace una sfera gigantesca dai riflessi rossastri che, se percossa, sprigiona una musica celestiale...
Il fantastico: più che un genere, un lato della letteratura a cui molti scrittori si sono affacciati, per ritrarsene a volte esitanti o immergervisi completamente. È accaduto a Lampedusa con Lighea, un racconto che ci fa comprendere più profondamente e quasi emblematicamente l’autore del Gattopardo. È accaduto ad un altro narratore “realista”, Perez Galdós, con La sombra, diventato una specie di classico del genere. Ma né Lampedusa né Galdós sono rimasti nella storia letteraria per quei racconti.
Esiste, quindi, un fantastico d’habitude, che ben conosciamo, soprattutto attraverso certi autori dell’Ottocento, e un fantastico occasionale, quasi del tutto da scoprire...
Il filo conduttore di questa raccolta di articoli e piccoli saggi di Sandro Marano è quello di una critica alla civiltà moderna condotta dal particolare punto di vista della poesia e dell’ecologia. I poeti, gli scrittori, i filosofi, gli artisti, gli uomini politici passati in rassegna dall’autore ci invitano alla meditazione, al raccoglimento, ad un pensiero forte al di fuori degli schemi pregiudiziali e del “politicamente corretto”.
Il tutto nel breve, nel conciso, nella leggerezza. Fatti quotidiani, citazioni, domande, interpretazioni storico-critiche si amalgamano e si susseguono nel tentativo di capire il tempo che stiamo vivendo, di riflettere sul mistero della vita, di sentirci in fondo meno soli.
Lo scrittore allora è un po’ come “il cane della scrittura”, cui si riferiva in un suo magnifico racconto Pierre Drieu La Rochelle: al pari del cane che cerca gli avanzi per nutrirsi e sopravvivere, egli segue le tracce e le mette insieme, fuori di metafora, si volge alla scrittura per superare o cercare di superare la disarmonia del vivere, le contraddizioni, l’assurdo...
La bellezza dei paesaggi e la bellezza delle città sono state tutt’uno con l’agri coltura e l’urbis coltura, pratiche volte a rendere abitabile il mondo. All’origine dell’urbanità e della bellezza civile c’è una generosità interessata: la contropartita, per chi le promuove e vi partecipa, è l’elevamento della qualità dell’esistenza propria e degli altri. Dove il bello, prima di essere un risultato, è un elemento motore. Se l’urbanità è illuminata dalla bellezza, senza l’urbanità la bellezza civile è impossibile.
Nell’arte di costruire città l’Italia è stata maestra della bellezza d’assieme. Ha inventato l’armonia complessa derivante dall’interazione dialogica degli organismi edilizi; una modalità compositiva governata dalla tensione che infonde qualità teatrale agli spazi aperti pubblici, così da fare della stessa ‘scena’ la rappresentazione del convivere. Oggi il Bel Paese sembra aver dimenticato quest’arte, per divenire terreno di incursione di esibizionismi devastanti che allontano l’ambiente costruito dall’urbanità.
Il libro entra nel vivo della crisi indicando qualche via d’uscita...
Come in un esperimento scientifico, in questo saggio de Nobile mette la cultura abruzzese del secondo dopoguerra a reagire con il principale fermento artistico dell’epoca, il Neorealismo.
Per cultura abruzzese s’intende in particolare quella rappresentata dalle riviste letterarie, la cui centralità nelle dinamiche intellettuali è ormai acclarata, riviste che, dal punto di vista geografico, coprono pressoché interamente il territorio regionale; per fermento neorealista, invece, s’intende soprattutto l’espressione di tale tendenza in campo letterario, anche se non mancano puntate su altri terreni, dal cinema alla pittura, e più in generale nel campo della cultura laica, materialista e razionalista italiana nel periodo che va dal 1948 al 1959.
Ne viene fuori una fotografia dell’intellighenzia abruzzese piena di chiaroscuri, dove alle diverse aperture nei confronti della temperie neorealista corrispondono altrettante chiusure dettate da un’impostazione culturale fortemente tradizionalista e reazionaria, a volte grettamente rinchiusa entro un orizzonte che non vede oltre la pesantissima ipoteca dannunziana...
A Quarto, nel 1935, Carlo Delcroix celebra la partenza dei Mille e il memorabile discorso di d’Annunzio per l’intervento. Anche il Comune di Milano omaggia lo scrittore abruzzese donandogli una statua dello scultore Minerbi.
Finalmente si pubblica il Libro segreto, confessione di un d’Annunzio tentato di morire e quasi presago della propria fine. Il poeta scrive a Mussolini: “Il mio cranio di lucido vetro può incrinarsi improvvisamente”. I messaggi del poeta dal principato Vittoriale sono per i Francesi, per il legionario fiumano Agostino Lazzarotto in partenza per la guerra d’Africa (“Partirei anch’io, se non fossi decrepito e infermo”) e la vedova di Cesare Battisti, in occasione della tumulazione della salma del martire sul Doss Trento.
Gian Carlo Maroni, l’architetto del Vittoriale, nel ’35 crea su invito di Fulvio Balisti il sacrario di Ponti sul Mincio, diventa accademico di San Luca e riceve in dono un rustico dal comune di Riva, la sua città...
Il volume, che ampia e sviluppa la tesi del dottorato di ricerca di Vito de Luca, analizza da un punto di vista filosofico il linguaggio politico di Giovanni Gentile, ricomprendendo l’esame dei resoconti dei suoi interventi oratori in qualità di assessore supplente e di consigliere comunale del municipio di Roma, nei primi anni Venti del secolo scorso.
Un’attività, quella di amministratore cittadino, non solo poco nota nelle biografie che riguardano la vita del filosofo, ma del tutto inedita nel dettaglio, come è emerso dalla ricerca effettuata sui verbali dell’Archivio Storico Capitolino. E se da un punto di vista storico emerge un Gentile occupato nella quotidianità degli affari che incombono — seppure di una grande città, come è la Capitale italiana — dall’analisi del linguaggio, sia di quello utilizzato nella sua veste di filosofo, sia in quella di ministro e senatore del regno d’Italia, un approccio teoretico mostra come il pensiero di un liberale possa collocarsi al di là di ogni categoria politica di destra e sinistra, non solo sintetizzandole, ma superandole per indirizzarsi con decisione verso il culmine della civiltà occidentale, rappresentata dalla tecnica.
Il merito di questo libro è infatti quello di svincolare definitivamente Gentile da ogni etichetta che possa incasellare il pensatore, anche dando voce e ripensando alle sue parole, quando si definiva «più socialista di Lenin e più liberale di Wilson»...
Razzismo e fascismo è una estesa sintesi per cercare di capire quali furono gli esiti delle leggi razziali e come si arrivò ad esse; quale fu l’atmosfera di discriminazione che si ricreò nelle campagne razziali, ma anche, e soprattutto, il tentativo di capire come, quando e perché Mussolini e il fascismo divennero razzisti.
Non solo, perché sono state dedicate non poche pagine a quei saggi più importanti che uscirono tra gli anni Trenta e i primi anni Quaranta, per comprendere meglio le ragioni di quegli intellettuali che scelsero di seguire le linee programmatiche e ideologiche del regime anche sulla questione razziale.
Difatti, all’epoca, non fu affatto casuale che le dispute dialettiche sul razzismo italiano, non avvennero in seno al Partito Nazionale Fascista, addirittura privo di un Ufficio della Razza, ma furono lasciate alla classe intellettuale, scientifica e quindi al settore bibliografico, giornalistico e anche accademico universitario, in quest’ultimo specialmente tra i giovani dei GUF (Giovani Universitari Fascisti) e alle loro sezioni di demografia e razza.
Per questo si è preferito far parlare i protagonisti, inclusi i libri, che condizionarono gli uomini e quegli anni, e su tutti il primo dei protagonisti in assoluto — perché volle la promulgazione delle leggi razziali — con i suoi articoli e i suoi discorsi: Benito Mussolini...
Inviato da Roma alla guida del giornale del PNF di Massa Carrara per portare in provincia la «rivoluzione antropologica» del regime, Stanis Ruinas, proveniente dall’«Impero» dei futuristi Settimelli e Carli, impostò un giornale «di battaglia», che in nome dello «stile fascista» condusse campagne verso le banche, i commercianti, la stampa.
Assai violenta fu quella contro gli industriali elettrici, mentre verso gli industriali del marmo locali fu condotta una campagna di moral suasion, secondo le direttive di governo e partito. Ruinas pose l’impronta dell’intransigentismo fascista sui temi di rilevanza nazionale: la missione della stampa, corporativismo e sindacalismo, la questione femminile, la politica estera, i rapporti con la Chiesa, le politiche del regime di fronte alla crisi economica.
La vicenda giornalistica apre una finestra su un mondo provinciale animato da gerarchi nazionali e locali, industriali e sindacalisti, vescovi e sacerdoti, giornali e giornalisti, prefetti e ministri, fino allo stesso Mussolini, e rivela le contraddizioni del tentativo di traduzione del totalitarismo fascista nelle realtà provinciali, che porteranno il fascismo «rivoluzionario» del giornalista a infrangersi nel fascismo «conservatore» tornato alla guida del PNF locale con la sconfitta del ras Renato Ricci nel lungo conflitto con i grandi industriali del marmo...
I due argomenti trattati in questo libro non hanno nulla in comune se non i luoghi e i tempi in cui si svolsero. Il primo, la resistenza etiopica contro l’occupazione italiana, la prima guerra patriottica di liberazione del XX secolo, si propone di integrare quanto già scritto, approfondendo soprattutto l’aspetto sociale dello scontro e le reazioni psicologiche di protagonisti e gregari dei fronti opposti, con la descrizione dei comportamenti dettati da speranze e illusioni, paure ed eroismi, generosità e soprattutto crudeltà. I riflessi della guerriglia furono drammatici per la società nativa e per quella italiana.
L’altro tema, la resistenza italiana contro gli inglesi accesasi dopo la sconfitta, nella sua ampia trattazione, è una pagina inedita della storiografia italiana. Finora, era rimasta avvolta nella nebbia che solo gli scritti autobiografici di alcuni protagonisti avevano cercato di diradare, senza, peraltro, riuscirci per l’eccessiva enfasi contenuta nelle loro memorie, l’esagerazione nella valutazione degli episodi di cui furono protagonisti e l’assenza di una visione complessiva del fenomeno.
Fu opposizione armata, attività assistenziale verso i bisognosi della comunità italiana molti dei quali erano rimasti intrappolati in colonia privi di risorse, e resistenza alla decisione britannica di azzerare la presenza dei nostri connazionali in Etiopia attraverso i rimpatri o la deportazione...
l 1956 è un anno cruciale nella storia del Novecento, nella misura in cui in esso si esprimono potenziate e come aggrumate tutte le tensioni del mondo bipolare: nel giro di pochi mesi si passa infatti dall’apertura rappresentata dal “rapporto Krusciov”, che addita oltre Stalin la possibilità di un socialismo dal volto umano, alla tragedia della rivoluzione ungherese, che tanti dolorosi strascichi lascia negli intellettuali di sinistra.
Nel corso dell’anno l’intellighenzia italiana è attraversata da tale onda di entusiastica speranza e successivo riflusso, evidente nel dibattito culturale e riverberata da una produzione artistica nella quale il peso degli eventi storici non manca di farsi sentire.
L’anno in questione può essere quindi considerato uno spartiacque fondamentale anche per gli scrittori, consumandosi allo snodo più generico della metà degli anni Cinquanta un ripensamento complessivo del fare letteratura che travalica la contingenza politica, preparando i frutti di una nuova stagione.
Protagonisti dei dodici saggi che compongono il presente volume sono: Bassani, Bodini, Calvino, Cassola, Fortini, Leonetti, Pomilio, Sanguineti, Silone e Tomasi di Lampedusa...
Abitare la musica - Cantare l’architettura è un volume che si prefigge l'obiettivo di indagare i legami compresi fra musica e architettura, attingendo da diverse aree del sapere: musica, teatro, letteratura, architettura, arti visive, nuove tecnologie e cinema.
Da un sentimento di rottura scaturito dai dogmi della tradizione musicale, in cui le giovani generazioni non sembrano più riconoscersi completamente, e l’urgenza di esprimersi con passione e consapevolezza, emerge nell’autrice un bisogno di sperimentazione della materia e di confronto con gli addetti ai lavori di diversi ambiti artistici. In un’epoca in cui le arti performative definiscono irrevocabilmente la fusione tra arti sceniche e arti figurative è necessario un dialogo tra professionisti di diversa estrazione creativa. Ed è per questo motivo che l’autrice chiama a raccolta in una piattaforma di indagine alcuni esponenti di questa generazione.
Quindici saggi divisi in tre blocchi tematici: memoria, meraviglia e virtualità. Nove giovani autori che si interrogano sulla proporzione musica-architettura dalla propria esperienza di campo fra teoria e pratica. Che cosa pensa la nuova generazione di professionisti a proposito di uno dei temi considerati fra i più affascinanti di tutti i tempi?
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Una cortina di silenzio è calata sulla figura e sull’opera di Rocco Scotellaro, a più di sessant’anni dalla sua morte. La critica “superstite” ha riproposto, con qualche eccezione di rilievo, le opposte unilateralità della precedente, che rappresentava il poeta-sindaco di Tricarico come nostalgicamente legato a un mondo estinto oppure come scrittore «crepuscolare», «ermetico», «decadente».
Rocco Scotellaro non è un semplice «rievocatore» di miti. Attraverso un processo di razionalizzazione, il vecchio mito contadino, che affonda le radici nei millenni, penetra nel tessuto poetico-narrativo, assumendo nuove valenze simboliche, in una prospettiva progressiva, che lo proietta verso il presente e verso il futuro. L’universo simbolico contadino si arricchisce, dunque, nell’immaginario poetico, di nuovi significati progressivi. In tal senso, il mito si fa storia attuale, diventa la storia non soltanto di coloro che lo hanno creato, ma anche di coloro, in prima fila il poeta (ma anche i suoi compagni di lotta), che lo hanno attualizzato e riempito di contenuti simbolici, morali, politico-ideologici, nonché letterari, nuovi, di matrice progressiva.
Antonio Catalfamo, nel presente volume, innovando la critica precedente, si propone, per l’appunto, di studiare come si realizza, nell’opera di Scotellaro, l’interconnessione tra «mito», «storia» e «poesia»...
Nelle lettere di dedica bandelliane non manca proprio nulla della dimensione sociale, culturale, storica e politica cortigiana del Cinquecento. Persone, ambienti, situazioni, problemi, conflitti, aspirazioni, valori, cerimoniali, pregiudizi e luoghi comuni, tutto riprende magicamente corpo grazie alle dedicatorie; ogni elemento, ogni motivo, ogni particolare concorre a ricreare nell’immaginazione del lettore quella realtà ormai lontana nel tempo e perduta per sempre.
Nobiluomini e gentiluomini, nobildonne e gentildonne, dotti, religiosi, militari, mercanti, buffoni, artisti e altri personaggi caratteristici dell’ambiente cortigiano si riaffacciano, grazie allo scrittore lombardo, sulla scena del mondo per mostrare, sfilando in una sorta di rievocazione storica di antichi costumi e orpelli d’ogni tipo, ma tutti autenticamente d’epoca, la loro più intima dimensione umana, la consapevolezza di dover sostenere il ruolo affidato loro dalla storia fino in fondo, senza alcun dubbio o tentennamento di fronte al fato...