Con una punta di orgoglio, gli antichi Romani lo chiamavano mare nostrum. Orgoglio giustificato, soprattutto dopo la sconfitta e la distruzione di Cartagine, pericolosa dirimpettaia sulla costa africana del Mediterraneo. In realtà, più che mare nostrum in senso esclusivo, il Mediterraneo è stato, storicamente, il «mare fra le terre».
Ancora prima di Roma, congiunge l’antico Egitto e il «miracolo greco», che in una criptica osservazione di Platone nella sua «lettera settima», essenzialmente autobiografica, non sarebbe comprensibile senza l’apporto egiziano. Ancor più precisamente, il Mediterraneo è il ponte per l’impressionante abbraccio da Samarcanda a Cordova e Siviglia e per il fecondo incontro, in Sicilia, fra i Normanni e la cultura araba.
Oggi, questo mare può far pensare a un cimitero a cielo aperto. Spetta all’Europa ritrovare i termini, economico-culturali e storici, per una immigrazione che non sia caotica estraneità, ma ancora una volta, occasione di arricchimento interculturale e progresso civile. Le difficoltà sono evidenti. Non si tratta di realizzare un melting pot, che riuscirebbe, al più, una babelica congerie, bensì una salad bowl, in cui ogni «filo d’erba», vale a dire ogni cultura, manterrebbe la propria identità, pur aprendosi e dialogando con le altre culture, nella piena consapevolezza che oggi, nella situazione nucleare dell’umanità, la condizione per evitare l’autosterminio si lega a un semplice, drammatico dilemma: dialogare o perire.
[ISBN-978-88-3305-028-7]
Pagg. 120 - € 10,00
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