Nella primavera del 1985 Roma accoglie, fra le sue mura, Eugène Ionesco. Proprio in quell’occasione Giuseppe Grasso ha la fortuna e l’onore d’intervistare il noto commediografo, all’epoca settantaseienne. Come una nuvola che si rompe, dalle loro parole viene fuori un temporale di sollecitazioni che sono anche riferimenti, nomi e luoghi di una geografia che è una mappatura del composito orizzonte culturale ioneschiano.
Se oggi quella lunga conversazione vede qui la luce in una versione più estesa, non è per un capriccio dell’autore, che vi ha rimesso mano riprendendo le registrazioni originali, ma in risposta a una peculiarità che ne giustifica la riproposizione sotto forma di libro: l’intervista è un documento e le pagine di cui si compone fanno «testo», cioè danno vita a un rapsodico saggio parlato sul teatro e sulla poetica di Ionesco.
L’intervistatore parla con un gigante e lo fa con grande devozione, tenendosi comunque alla larga da complessi d’inferiorità. È sicuro del fatto suo e pone domande precise. Sa dove guardare, come prendere la mira, cosa aspettarsi. Sollecita il Maestro, lo marca, lo incalza, lo asseconda, non manca di esprimere dissenso o di proporre spunti diversi. Se è disposto a esserne felicemente soverchiato, è però determinato a portare a casa un risultato concreto. Intervista con Ionesco, preceduto da un’utilissima Presentazione del giornalista Simone Gambacorta, è anche un libro connettivo, perché stabilisce legami e indica prospettive. Se lo dimostra, da un lato, quel mutuo cioraniano che acutamente sancisce una parentela del disincanto, dall’altro lato lo attesta A proposito di Beckett, il breve saggio ioneschiano che conclude il volume e che dice di chi scrive non meno di quanto dica sull’autore di En attendant Godot.