Ammesso e non concesso che ciascuno di noi debba morire – generalizzazione “induttiva” che secondo rigore logico è provocatoriamente relativizzabile –, in ogni caso si può cercare di morire in maniera differente: al di qua delle prospettive d’immortalità dell’anima e di resurrezione (o reincarnazione) dogmatizzate dalle religioni, e al di là della certezza del nulla postumo manifestata da un diffuso razionalismo.
Per tentare di “morire altrimenti” bisogna accogliere la morte come intrinsecamente inaccertabile e inesauribile, dato che si situa oltre il confine delle facoltà di verifica naturale. Ma a questa sospensione di giudizio la cultura odierna anche laica si mostra sempre più refrattaria, riducendo l’essere all’esistere, fondando tutto sulla tecnica dell’uomo artefice e controllore, quindi tendendo a rimuovere quell’evento di annientamento assoluto che su tali premesse la morte rappresenta.
Intessuta in particolare delle riflessioni di Heidegger, Sartre, Jankélévitch, Foucault e soffermandosi pure sul suicidio, la configurazione che si profila in questo libro accetta l’ignoto della morte. Ecco perché né si rassegna all’idea che dopo sia necessariamente il nulla, né si adagia sull’idea di un sicuro aldilà ancora a immagine e somiglianza dell’uomo naturale.