L’Italia è una Repubblica democratica, “infondata” sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti del “potere”. Sarebbe questa, forse, la formula più adatta per descrivere la personalità di uno Stato mai veramente stato. Fin dal primo articolo di una carta costituzionale venuta fuori da noti “trambusti” materiali, politici e sociali, si è capaci di rilevare le più assurde posizioni. Un popolo femmina capriccioso, grossolano e superbo (di cosa?) irresponsabilmente sovranizzato e una struttura statuale edificata sulla “promessa” di poter essere, un giorno, ben altra cosa. Appendice dell’ex Urss o novello Stato autoritario. Una Repubblica pacificata ma tutt’altro che “pacifista” ché da un momento all’altro bombe e carri armati avrebbero potuto strapparle di dosso quelle misere vesti che mani pietose (e straniere) avevano cucito per lei. Già Prezzolini scriveva che l’Italia era un’invenzione letteraria, né Stato né nazione comunemente intesa, forse, aggiungo, solo ambizione artistica. Una cosa però è certa: a centosessantadue anni da quel marzo 1861 non siamo più né contadini né operai ma una particolarissima varietà di schiavi informatizzati, convinta tuttavia che il futuro sarà ancora più “roseo”.