La riproposta dei Ricordi di Parigi di Edmondo de Amicis, autore, pedagogista e in qualche modo educatore non solo del pubblico post-unitario a lui contemporaneo, ha il significato di una ricerca testuale della letteratura di viaggio e della riappropriazione delle nostre origini storico-culturali in un momento in cui il ripristino di un sistema di valori a cui fare riferimento sembra necessario. Viaggio, dunque, non solamente fonte di svago e diletto, né evocativo di emozioni che pure ne costituivano le premesse, ma piuttosto come resoconto, occasione di analisi e confronto, spunto per nuove conoscenze, per curiosità intellettuali.
La scelta di Parigi è chiaramente la risposta alle richieste di un pubblico desideroso di scoprire la sua natura sfaccettata: “cloaca” e “ventre”, città del piacere e delle scoperte scientifiche, delle cattedrali e delle grandi architetture medievali; sorridente, invitante, cocotte sulle rive placide della Senna romantica dei bateaux-mouches; affamata, quando fruga fra le immondizie dei sobborghi, si vende per pochi denari e si sveglia scarmigliata alle prime luci dell’alba, fra i comignoli fumanti e le case ancora addormentate, per aprire bottega o andare a lavorare in fabbrica.
Il suo fascino passa per le grandi Esposizioni mondiali, dal progresso, dagli spettacoli teatrali e musicali; Parigi è la città dei grandi artisti e letterati, «faro del mondo, sommo modello dell’attività e della cultura», «miraggio della voluttà», ma è anche la «Babele», il «manicomio», la «bolgia», secondo Ardengo Soffici, quando si trova in Borsa, ovvero un luogo dall’aspetto demoniaco e spettrale, che provoca nei viaggiatori italiani e stranieri una reazione mista a terrore e meraviglia.