Questo libro prende in esame alcuni concetti chiave della grammatica tradizionale, ritenuti applicabili a tutte le lingue: predicazione, nome/verbo, soggetto/oggetto (agente/paziente), transitività, passivo, relazioni sintattiche, marche TAM.
In realtà le ricerche compiute negli ultimi anni con la scoperta di lingue sempre più lontane dal nostro orizzonte mentale hanno ampiamente dimostrato l’inattendibilità di tali categorie al di fuori delle lingue indoeuropee, nonostante la pervicacia di alcuni teorici a riproporle e la pigrizia di molti ricercatori, che hanno seguitato ad usarle per semplice comodità, anche se con tutte le riserve del caso.
Indubbiamente bisogna distinguere tra la linguistica teorica e quella descrittiva, che contraddice, talora macroscopicamente, la prima, ma spesso i problemi dell’una si riflettono nell’altra.
La grammatica di una lingua non è la manifestazione (istanziazione) di categorie supposte universali, né rappresenta delle scelte compiute in un ambito, più o meno limitato, di possibilità date una volta per tutte. Le “restrizioni” della grammatica non sono universali, ma imposte dalle lingue particolari, che a volte deludono le più ragionevoli aspettative.
Quello che è venuto a mancare è il momento “emico”, che Kenneth Pike intendeva affiancare a quello “etico”, ossia generalista , ed a cui i padri fondatori della linguistica moderna, Saussure da una parte e Gabelentz dall’altra si sono spesso richiamati. Si tratta di enucleare le caratteristiche originali di ogni lingua, ed è l’unica cosa che può renderne appagante lo studio. Altrimenti la linguistica si riduce ad una serie di controversie irresolubili e frustranti, oppure al vuoto formalismo di quelle che James McCawley chiamò Thirty Million Theories of Grammar (1982).