Il secolo XX è stato, in buona
parte, il secolo della linguistica generale,
che ha prodotto sostanziali
avanzamenti nello studio del linguaggio.
Basta citare con Saussure
linguisti come Hjelmslev, per cui
la lingua è una forma-contenuto,
o Sapir, che, crocianamente, mette
l’accento sull’estetica, ovvero
sul carattere metaforico del linguaggio.
Con essi la linguistica ha
conquistato la propria autonomia
scientifica. Ma dal secondo dopoguerra
in poi c’è stato, soprattutto
nel mondo anglosassone, un ritorno
a concezioni premoderne di stampo
razionalistico, che hanno riportato
lo studio del linguaggio nell’alveo
della psicologia e in un certo senso
della metafisica. Prima gli “universali”
di Greenberg e poi l’antilinguistica
di Chomsky hanno creato un
clima concettuale aprioristico e sterile.
L’idea che tutte le lingue hanno
la stessa struttura ad un livello più o
meno astratto è diventata per molti
un articolo di fede ed alcune riviste
specializzate lo diffondono con impegno
anche fuori degli Stati Uniti.
Si è aggiunta una proliferazione di
teorie grammaticali costruite su basi
puramente logiche e prive di effettivi
riscontri nella realtà delle lingue.
Questo mentalismo “anglocentrico”,
mascherato da universalismo,
è in evidente contrasto con
l’ampliamento dell’orizzonte scientifico
a cui si è assistito negli ultimi
tempi . Il nostro patrimonio di conoscenze
sulle lingue del mondo si è
arricchito enormemente, e l’effetto
Babele, ossia la legge di difformità
che sembra governare il linguaggio,
è apparso come un “fenomeno
vitale manifesto”. La scoperta
di lingue lontanissime dal nostro
orizzonte mentale come quelle della
Nuova Guinea e del Sudamerica
tropicale ha fatto emergere, in
modo talora vistoso, la relatività dei
nostri concetti linguistici, ancorati
alla grammatica greco-latina.
A fronte di ciò la linguistica è
chiamata ad abbandonare quella
che Firth chiamava la “fallacia
universalistica” e a recuperare il
proprio spirito empirico , rendendo
effettivo il richiamo di Saussure allo
studio delle lingue particolari.
Questo libro offre un quadro
della situazione attuale, in cui la
linguistica autentica convive con
quella di second’ordine e le speculazioni
più azzardate con la descrizione
delle lingue più “esotiche”.