Il fantastico: più che un genere, un lato della letteratura a cui molti scrittori si sono affacciati, per ritrarsene a volte esitanti o immergervisi completamente. È accaduto a Lampedusa con Lighea, un racconto che ci fa comprendere più profondamente e quasi emblematicamente l’autore del Gattopardo. È accaduto ad un altro narratore “realista”, Perez Galdós, con La sombra, diventato una specie di classico del genere. Ma né Lampedusa né Galdós sono rimasti nella storia letteraria per quei racconti.
Esiste, quindi, un fantastico d’habitude, che ben conosciamo, soprattutto attraverso certi autori dell’Ottocento, e un fantastico occasionale, quasi del tutto da scoprire. Inutile dire che i testi fantastici di D’Annunzio, qui raccolti, appartengono a quest’ultima categoria. Si tratta di un’esperienza episodica nell’opera dannunziana, ma non per questo meno significativa, soprattutto se si pensa a quell’Abruzzo “magico-arcaico” che ne costituisce la ragione più evidente, anche se non unica.
La deliberata confusione tra sacro e profano, tra sensualità e misticismo, ingenera un’ambiguità espressiva che ritroveremo in certe pagine delle Faville del maglio. D’Annunzio edifica il proprio apocrifo Paradiso sulla riconversione del cristianesimo in paganesimo. Il naturale prende il posto del soprannaturale in un’accezione peculiarmente “greca”, che il poeta, più del prosatore, saprà esprimere in tutta la sua suggestione.