Le pagine di questo libro, da assaporare lentamente come un vecchio vinsanto, sgorgano di pietas cristiana (volgarmente sostituita oggi, con la più semplice parola “amore”), nei gesti e nelle parole dei personaggi che via via si susseguono. Le poesie e gli stornelli, fanno da metronomo ad una Fede ricca di gesti e simboli, e per questo (a dispetto di quanti oggi propagandano il contrario) vissuta, amata e rispettata.
Commovente il ricordo dell’Autore, con cui si apre il libro, della S. Messa celebrata a Camerino, nella cappella privata della villa di una nobildonna camerte, a dispetto del tentativo (infruttuoso) del Vescovo locale di impedirla. Pagine toccanti, di una messa “clandestina” (da cui il titolo del Libro), a cui parteciparono, oltre all’Autore, e ai figli di Guareschi, numerosi studenti universitari, ma anche docenti, contadini del posto, e ovviamente la padrona di casa, la Contessa.
Un sacerdote “refrattario” intona solennemente “Introibo ad altare dei”, e all’unisono i fedeli rispondono “Ad Deum qui laetificat juventutem meam”. Le righe che seguono, sgorganti poesia, sono puro e semplice catechismo.
Ed è questo, a ben vedere, il merito indiretto, ma principale, di quest’Opera. Attraverso i racconti del bel tempo che fu, di luoghi e personaggi, si dipana il filo rosso della Fede. Le stagioni rammentate nel libro (maggio, ottobre, novembre) rammentano le devozioni popolari.
Le tradizioni contadine, anche meramente culinarie, diventano trasposizioni di venerazioni antiche, alla Vergine e ai Santi. Le celebrazioni pubbliche, anche laiche, mai scisse dalla Religione. Veramente si potrebbe insegnare catechismo facendo leggere quest’Opera.