Giuseppe A. Spadaro (Noto 2 maggio 1934 - Roma 28 gennaio 2018) esordisce come poeta con Schegge di dolore (Gastaldi 1956). L’accorata sensibilità di quei versi esprime già la poetica che impronterà tutta l’opera di quest’autore. La sigla comune è quella di un pessimismo venato di ironia, come nel divertissement In pruritu carnis, in cui il De contemptu mundi di papa Innocenzo III legittima una spietata critica biblica che conduce a scoperte filologiche di portata universale. È questo un filone che si spinge fino al Discorso semiserio sull’Uomo in Dell’imitazione e della memoria (Ed. Bibliotheca 2013), passando per L’albero del Bene - San Francesco teologo cataro (Ed. Arkeios 2009), opera sconcertante ma scientificamente ineccepibile (Pietro Prini). Si delinea così la figura d’uno storiografo a tutto campo, che indaga sulle cause remote degli avvenimenti con un’ansia di verità che dalla Storia dell’Arte (Il caso Borromini) e dalla critica biblica si estende al campo politologico.
Spadaro inizia infatti la sua attività saggistica collaborando a "Carattere", "Azione", "Ordine Nuovo", "Civiltà", "L’italiano", "Il Secolo d’Italia" e "Umanesimo del Lavoro", culminando, attraverso Il fascismo crocevia della modernità (Ed. Settimo Sigillo 1998), ne L’equivoco della liberaldemocrazia (Antonio Pellicani 2002). Quell’ansia di verità lo spinge ancora, in 1860: Sicilia dei misteri - Garibaldi di fronte alla Storia (Harald Editore 2007), a indagare in quelle zone in ombra fra eresia e cospirazione in cui affondano le radici del nostro Risorgimento: ricerche rare, itinerari nel sottosuolo da cui idee sperdute sbucano di nuovo nella Grande Storia (Francesco Mercadante). Ha recentemente pubblicato Una mitologia eroica del fascismo. Dialogo immaginario tratto dalle memorie di Aniceto Del Massa - Pino Romualdi - Marcel Déat (Solfanelli, Chieti 2016).