BIO-BIBLIOGRAFIA


LE OPERE

I Fiori del Male e il sublime







Erich Auerbach


Erich Auerbach

     Erich Auerbach è uno dei massimi critici e filologi tedeschi mondiali del Novecento, fra gli iniziatori della cosiddetta «critica stilistica». Nato a Berlino nel 1892, muore negli Stati Uniti, a Wallingford, nel 1957. Sarà successore di Leo Spitzer all’università di Marburgo come professore di Romanistica. Costretto dal regime, per le sue origini ebraiche, ad abbandonare la Germania, si trasferisce in Turchia, dove insegna presso l’università di Istanbul dal 1936 al 1947. Dalla Turchia si reca poi negli Stati Uniti dove, dal 1950, presta la sua opera presso l’università di Yale. Di rilievo mondiale è la sua attività di dantista, svolta per oltre un trentennio i cui risultati hanno condizionato tutta la moderna esegesi del poeta medievale. Il metodo di Auerbach affonda le proprie radici nella tradizione della Geistesgeschichte tedesca ed eredita da Hegel, dallo storicismo di Dilthey, Meinecke e Troeltsch, l’esigenza di comprendere in una visione sintetica e totalizzante la cultura umana nel suo complesso.
     Profondo conoscitore della civiltà medievale e romanza, le ha dedicato numerose ricerche, fra cui spiccano Introduzione alla filologia romanza (1943), Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel medioevo (1958) e gli studi danteschi, da Dante poeta del mondo terreno (1929) ai numerosi saggi posteriori, molti dei quali tradotti e raccolti in Studi su Dante (1963). La sua opera capitale resta comunque Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946), in cui Auerbach – attraverso l’analisi stilistico-linguistica di una serie di autori che vanno da Omero a Petronio, da Dante a Flaubert, da Zola a Virginia Woolf – individua il filone della tradizione letteraria occidentale caratterizzato dalla tensione realistica. Si tratta del «suggello al lavoro di un’intera generazione di filologi», com’è stato detto, del risultato più maturo di un metodo che ha rinnovato gli studi di filologia romanza in Germania e in Austria, il cui valore di testimonianza generazionale è espressione delle inquietudini, delle speranze e dei valori della diaspora intellettuale ebraico-tedesca negli anni tragici del nazismo.
     In Auerbach, la cui formazione di filologo si arricchisce, rispetto alle analisi psicologiche di Leo Spitzer, di studi di tipo storico e sociologico, l’indagine stilistica si avvale di ogni altro fattore utile a chiarire il pensiero dell’autore. Anche se la filologia resta la base metodologica delle sue ricerche e la causa prima della sua visione europeistica, l’analisi dei rapporti fra la tradizione culturale e il contesto sociale permette ad Auerbach di cogliere le idee e i fenomeni più rilevanti di quella storia dello spirito occidentale la cui unità egli ricercava. Il termine «stile» indica un uso individuale del linguaggio, proprio del singolo autore. Tuttavia questa «individuazione» non può essere fatta senza un confronto serrato con le forme del passato e quindi con gli stili storici presenti nella tradizione letteraria.
     Ricordiamo al lettore che alcuni convegni internazionali, organizzati a Stanford, Berlino, Parigi e Istanbul, fra il 1996 e il 2017, in occasione del cinquantenario della pubblicazione di Mimesis o della morte del suo autore, hanno permesso di fare il punto su quello che è ormai unanimemente considerato un classico della critica ma anche di verificare tenuta e attualità delle sue tesi.




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