Può il capitalismo sopravvivere? No, non lo credo. Così scriveva Joseph A. Schumpeter ne 1942. La crisi economica che ha colpito il mondo intero nel 2007 sembra dargli ragione. Eppure, siamo proprio convinti di poter affermare che la recessione in corso dimostri il fallimento definitivo dell’economia di mercato? Abbiamo davvero bisogno di ulteriori regolamentazioni e di un intervento più massiccio dell’autorità statale?
Come Schumpeter, io rispondo no, non lo credo. La crisi economica non dimostra né che il capitalismo sia finito né che il libero mercato sia al suo canto del cigno. Al contrario, l’economia capitalista è viva. L’andamento ciclico è la forma tipica della sua manifestazione esistenziale.
Dunque, perché il mondo “ricco” si attanaglia in preda a crampi lancinanti? La colpa non è del libero mercato. Al contrario, dell’eccessivo intervento dello Stato e delle autorità monetarie. L’attuale congiuntura è il punto finale di teorie, diagnosi e rimedi applicati senza coscienza dal secondo dopoguerra.
Per sessant’anni le banche centrali non hanno saputo far altro che abbassare i tassi di interesse per stimolare l’economia e alzarli per raffreddare l’inflazione, credendo in automatismi eccessivamente semplicistici. Facendo ciò, invece, non hanno fatto altro che drogare il meccanismo dei prezzi favorendo il sorgere di iniziative imprenditoriali errate. Inoltre, hanno inondato i mercati con liquidità fittizia, allucinando il popolo con il fuoco fatuo del denaro virtuale.
Tali manovre hanno generato anche la crisi presente. Questa volta, però, la crisi è stata talmente grave da mettere in difficoltà il fasullo rimedio finora usato: la spesa pubblica. Gli Stati occidentali sono sull’orlo del fallimento e non possono esporsi ulteriormente.
Di cosa abbiamo bisogno dunque? Di una nuova politica monetaria, che sappia rimettere al centro il valore del risparmio reale quale fondamento per gli investimenti. Di autorità politiche meno intente a distribuire prebende e in grado di prendere sul serio le grandi sfide del futuro. E, soprattutto, di uomini coraggiosi, capaci di immaginare un futuro.