Il tentativo di presentare la decostruzione in una prospettiva filosofica ed estetica non si spiega soltanto con la volontà di evitare l’astrazione di un approccio globale troppo eterogeneo, ma anche con il fatto che è nella direzione di una problematica estetica che sembrano convergere i principali enunciati introdotti da Derrida nella discussione filosofica. È verso il testo letterario, poetico che si orienta la decostruzione francese, uno dei concetti chiave della quale — la disseminazione — è d’origine mallarmeiana.
Derrida stesso conferma questo orientamento commentando la prima fase della sua evoluzione intellettuale: «Il mio interesse più costante, direi persino prima dell’interesse filosofico, se possibile, si volgeva verso la letteratura, verso la scrittura cosiddetta letteraria.» (1)
Un’altra ragione per affrontare la decostruzione da un punto di vista estetico (che produce un oggetto filosofico-estetico, piuttosto che linguistico o psicanalitico) si trova nella struttura di questa opera, il cui terzo capitolo è dedicato alla critica letteraria negli Stati Uniti. È nell’Università di Yale che autori come Paul de Man e Geoffrey H. Hartman sono stati influenzati dal pensiero di Jacques Derrida, a sua volta basato su una lettura critica di Platone, Kant, Hegel, Rousseau, Nietzsche, Husserl e Heidegger. I teorici di Yale hanno essi stessi intrapreso il dialogo con questi filosofi. Ed è soprattutto Paul de Man che ha sviluppato una critica letteraria decostruzionista partendo dal positivismo nicciano e criticando la tradizione metafisica dell’idealismo tedesco.
Richiamandosi a Nietzsche e a Derrida, altri rappresentanti della decostruzione americana, segnatamente Geoffrey H. Hartman, hanno cercato di riprendere la tradizione romantica di Friedrich Schlegel, che avrà un ruolo importante nel primo capitolo di questo lavoro. Si vedrà che esistono, indipendentemente dalle influenze dirette, affinità tipologiche (analogie) tra gli argomenti della decostruzione e quelli dei romantici tedeschi.
Prima di affrontare il contesto filosofico ed estetico che costituisce l’impianto della decostruzione, così com’è qui considerata, è opportuno precisare la prospettiva secondo la quale questo approccio filosofico sarà presentato e criticato. Non si tratta di una critica che, a seguito dell’applicazione di criteri esteriori (analitici, marxisti o esistenzialisti), giunge a una “refutazione” della decostruzione. Invece di cedere alla tentazione di una teleologia facile e dogmatica, l’assunto di questo lavoro, che s’ispira alla Teoria critica di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, ricerca il dialogo con Jacques Derrida e i suoi amici americani.
Un dialogo fondato — almeno in parte — sull’idea che i fenomeni sociali, psichici e linguistici sono ambivalenti: il discorso critico sulla decostruzione non è radicalmente diverso da questo, il che fa sì che la sua critica giunga spesso a una critica delle sue posizioni. Nell’ultimo capitolo, ad esempio, si vedrà a quale punto certi argomenti avanzati da Jürgen Habermas contro Derrida siano fondati su alcune semplificazioni. Tali semplificazioni non potrebbero essere evitate, se non attraverso un discorso ironico che si orienti verso l’ambivalenza e il dialogo, e che riconosca nell’avversario criticato — almeno di tanto in tanto — la sua stessa immagine.