All'ombra delle foglie
Il coraggio e l'onore dei samurai
a cura di Francesca Meddi
Solfanelli, Chieti, Novembre 2005
Presentazione
«Ho capito che la Via del Samurai è la morte.»
Così afferma Yamamoto Tsunetomo nel suo Hagakure, destinandolo a interpretazioni parziali e faziose che spesso sfociarono in estremo fanatismo: il suicidio di Yukio Mishima secondo il rituale del seppuku, il sacrificio di giovani militari giapponesi indotti alla cieca obbedienza per l’imperatore.
Eppure dietro questa frase di facile fraintendimento si cela un pensiero ben lontano da quello che superficialmente si vede; paradossalmente invita alla vita, al viverla in ogni suo istante al meglio, ricordando che l’uomo, come ogni altro essere vivente, è destinato a morire.
Vivere la vita mirando ad uno scopo a cui dedicare anima e corpo. Lo scopo di un samurai è quello di combattere, quindi adempiere ad una vita perfetta morendo con onore: sul campo di battaglia.
In ogni gesto, in ogni attimo si ricerca la perfezione: l’estetica del wabi e sabi si esemplifica nella meditazione Zen, nella sado, la cerimonia del tè.
Ma il campo di battaglia ai tempi di Yamamoto Tsunetomo rimane un mero e nostalgico ricordo: nel 1600 la battaglia di Sekigahara pose fine al periodo più tumultuoso della storia del Giappone, il Sengoku jidai, il periodo dei paesi in guerra. La terribile guerra intestina del Giappone durata ben centocinquanta anni.
Iniziò un lungo periodo di pace sotto l’egemonia del bakufu Tokugawa (1600-1868), che puntò su di un rigidissimo governo centralizzato che ritrovava i suoi principi nel confucianesimo cinese.
Per mantenere più stabile la situazione il bakufu pensò anche di vietare alcune prassi contraddistinguenti la classe dei samurai come il junshi, il suicidio rituale alla morte del proprio signore.
Senza più battaglie da combattere, senza più signori per cui morire, il samurai si muoveva goffamente in quel nuovo mondo di leggi e norme quale era il mondo burocratico-amministrativo.
È adesso che il samurai per la prima volta posa la spada e per la prima volta inizia a meditare su se stesso, su come poter dare un senso al suo essere bushi in un’epoca dove di fatto il samurai aveva perso la sua ragion d’essere.
Yamamoto Tsunetomo visse in questo difficile momento di transizione: alla morte del suo signore, il daimyo Mitsushige Nabeshima gli venne impedito il suicidio, vietato dal suo stesso daimyo nel 1661. A quarantadue anni prese i voti e si ritirò in preghiera e meditazione nel monastero del Kurotsuchibaru a dimostrazione della sua volontà di seguire idealmente il suo signore nella morte.
Iniziarono così le sue riflessioni sull’essenza di un samurai.
Il passato non può tornare ed è sciocco sprecare la breve vita che ci è stata donata per pensare con rammarico a quello che fu; è bene invece impegnarsi nel momento presente memori del passato cercando di dare il meglio di sé.
L’Hagakure (All’ombra delle foglie, titolo che rimanda al suo romitaggio) nasce in questo momento.
È una raccolta di aneddoti più o meno brevi di vario carattere, tutti indirizzati al samurai “che vuole essere utile al proprio signore”: in tal caso allo han Nabeshima, valore assoluto a cui, secondo Yamamoto, devolvere la propria esistenza.
Yamamoto non aveva intenzione di scrivere un testo didascalico, che fungesse da modello per un generico giovane apprendista-samurai, si limitava a considerare il suo han; di fatto l’ideale morale retto da altri feudi era prettamente confuciano! E di certo durante il Sengoku jidai, o agli albori dell’avvento della classe militare non occorreva certo un codice etico che descrivesse il giusto comportamento che un guerriero dovesse seguire.
Il cosiddetto Bushido, il codice segreto dei samurai così come ci è noto in Occidente, appartiene al mondo moderno, al periodo Meiji (1868), quando l’Hagakure venne divulgato e pubblicato.
L’Hagakure nasce dagli incontri tra il giovane samurai Tashiro Tsuramoto, appartenente anche lui allo han Nabeshima e Yamamoto Tsunetomo.
Tsuramoto dopo essere stato allontanato dal feudo e privato del suo lavoro si recò da Yamamoto, tenuto in grande stima come modello d’estrema fedeltà, divenendo suo discepolo.
Le loro dissertazioni vennero così trascritte da Tashiro dal 1710 al 1716 e raccolte in sette volumi.
Dopo la morte di Yamamoto, rompendo la promessa fattagli, ossia quella di bruciare il manoscritto a morte avvenuta, Tsuramoto lo diffuse nello han dove circolò fra i giovani samurai fino alla Restaurazione Meiji, in veste di “libro segreto”.
Ancora oggi non è stato trovato il manoscritto originale, ciò che ci è pervenuto sono le trascrizioni successive, fatte da samurai di altri han che durante la ritrascrizione dell’opera apportarono nuovi aneddoti inerenti le usanze dei loro han di appertenenza, ampliando così il corpus originale dell’opera da sette a undici volumi.
La parte che si ritiene essere di Yamamoto Tsunetomo è comunque la più conosciuta e la più apprezzata.
In questi brevi aneddoti si ritrovano argomenti di vario genere.
Il titolo di Codice segreto dei samurai è pura volontà dei posteri che vi hanno voluto identificare la moralità universale del samurai, quando in realtà Tsunetomo lo rivolse solo ed esclusivamente ai giovani del suo han, perché non si adagiassero in “questo mondo fluttuante, transitorio ed effimero” (ukiyo), in cui si pensava al denaro, al piacere dei sensi, al divertimento in tutte le sue manifestazioni perdendo di vista quelli che secondo lui erano i valori di un tempo:
«Da questo mondo fluttuante, quanto è distante il ciliegio selvatico?»
Questo è il celebre haiku che Yamamoto Tsunetomo propose a Tashiro Tsuramoto, identificandosi con il ciliegio selvatico, da sempre fiore simbolo del samurai, indicando nella sua piena fioritura sia la perfezione che la caducità della vita stessa, sfiorendo appena dopo pochi giorni.
L’Hagakure consta poco più di 1300 brevi aneddoti, da cui ne ho ripreso quelli che ho ritenuto più significativi suddividendoli in otto capitoli di argomento diverso, di modo che potesse essere di più facile approccio. Ho cercato anche di scegliere quelli che meglio potevano rimandare ad alcuni aspetti della vita del Giappone moderno, a prova non solo dell’influenza che l’Hagakure possa aver suscitato sul pensiero nipponico, ma come i suoi principi fossero stati accettati e riconosciuti come propri dello spirito giapponese.