Il breve testo di Simonetta Longo su alcuni documenti della storia di San Giovanni Teatino mostra egregiamente come ci si possa appropriare di un territorio tramite la sua storia e, attraverso la ricerca d’archivio, contribuire a che se ne riapproprino coloro che abitano tale territorio, vi vivono e ne vivono.
A lungo paesi di questo tipo sono rimasti per me luoghi di silenzio e d’assenza. Luoghi di partenza verso lidi lontani, votati — ai miei occhi — a una morte prossima. Il lavoro di Simonetta Longo, e l’attaccamento che esso manifesta a una sorta di patria del cuore, mi mostrano quanto avessi torto.
Mi sia consentito spiegarlo evocando la mia esperienza personale. Negli anni Ottanta mi fu proposto da Alessandro Clementi, professore all’Università dell’Aquila, di occuparmi della sezione archeologica di una ricerca di gruppo che egli allora dirigeva sul Comune di Carapelle Calvisio. La ricerca archeologica da me condotta in tale circostanza mi fece scoprire a Carapelle la realtà dell’abbandono di un paese. Gli abitanti erano partiti: alcuni negli anni Quaranta, verso il nord della Francia; altri, più recentemente, per il Canada. Ormai i matrimoni vi si celebravano solo per procura, come preludio alla partenza delle mogli alla volta del Canada. Tale situazione demografica mi fece prendere coscienza di cosa significasse l’agonia di un paese, mostrandomi come essa avvenisse. Con l’aiuto dell’università, la Pro Loco iniziò allora a rammentare che tale paese aveva una storia più che millenaria e anche, a suo modo, gloriosa (1).
Durante l’alto Medioevo (IX secolo) Carapelle fu protagonista di uno dei rarissimi episodi a noi noti di lotta e rivolta contadina contro un’oppressione signorile sempre più pressante. Il suo passato era illuminato da sprazzi di luce, sprazzi che ci mostravano che anche questo paese aveva una sua storia. Esso non era un’entità atemporale apparsa nella notte dei tempi e destinato a un ripetersi invariato degli anni e dei secoli, ma si era costituito a una determinata data e i suoi abitanti avevano avuto coscienza del loro statuto e della loro dignità, non erano stati dei meri oggetti passivi ma i veri attori della loro storia.
Senza dubbio questo vale anche per San Giovanni Teatino e per Sambuceto, che Simonetta Longo sottrae all’oscurità e al silenzio, portandoci a conoscenza delle loro origini medievali. Tali origini sono militari e feudali.
Di fatto la documentazione che ci è pervenuta su questi due centri minori è scarna. Alcuni testi appena, che parlano non della storia degli uomini che vi lavorarono e ne valorizzarono il territorio, ma di quella di coloro che lo dominarono e lo governarono: il conte Roberto di Loritello, il vescovo di Chieti Rainulfo, infine i nipoti di quest’ultimo che divennero signori del luogo versando al loro zio una considerevole somma di denaro. Non ci troviamo in tal caso nel registro documentario che dà accesso al livello del lavoro e della vita contadina, quanto piuttosto in quello del governo di un territorio, della costituzione e del mantenimento di patrimoni nobiliari, nonché in quello delle relazioni di vassallaggio feudale. Il castrum di Furca, che deve restare disponibile alla sua requisizione da parte del suo superiore, il conte di Loritello, fa parte di un congegno militare atto ad assicurare il controllo della frontiera settentrionale dei possessi normanni, da poco consolidati al momento della redazione degli atti (2).
Nel commentare tali documenti Simonetta Longo compie senz’altro un atto di riconoscenza filiale. E fa soprattutto opera di pedagogo nel dire e mostrare che non esiste una società senza storia, che la conoscenza del passato è indispensabile alla comprensione del presente.
È questa la funzione della nostra professione di storici, e al contempo la giustificazione sociale della sua esistenza. Inoltre noi siamo ben consapevoli che gli eventi più umili avvenuti nel corso del Medioevo, spesso invisibili e documentati poco o male, hanno ancora un’incidenza sulla nostra vita attuale. Accade così che la decisione, presa da questo o quel signore, di costruire un paese e di porvi la sua residenza è all’origine del nostro quadro attuale di vita, benché esso sfumi e svanisca a fronte dei mutamenti sociali occorsi dalla seconda metà del XX secolo. Il signore è scomparso, spesso il suo nome è ormai sconosciuto. L’abitato invece persiste e, con esso, un paesaggio di cui vale la pena ricordarsi che è esistito e che, anche modificato, continua ad essere l’orizzonte più immediato ed elementare della nostra percezione dello spazio. La comunità del paese, talora ancora molto vivace, si àncora a questo passato lontano, che saggi come quello di Simonetta Longo fanno rivivere.
Per tali ragioni, mentre saluto con piacere la pubblicazione del presente volume, sostengo quanto lavori di tal genere siano importanti perché non si estingua la memoria sociale delle cose e degli uomini.
Laurent Feller
Professore di Storia medievale
Università di Parigi I Pantheon-Sorbona
Laboratorio di medievistica occidentale Parigi
1) Cfr. A. Clementi, F. Giustizia, L. Feller, Homines de Carapellas. Storia e archeologia della baronia di Carapelle, Japadre, L’Aquila 1988 [Deputazione abruzzese di Storia patria, Studi e testi, fasc. 10].
2) L. Feller, The Northern Frontier of Norman Italy, in The Society of Norman Italy, a cura di G. A. Loud e A. Metcalfe, Leiden-Boston-Köln 2002, pp. 47-74.