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Maryam Maio
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Maryam Maio, arrivata in Italia con la sua bambina di quasi due anni, nel maggio 1991, si rimbocca subito le maniche per iniziare la nuova vita che l’attende. Lei è in possesso di un visto turistico rilasciato dal governo italiano, ma le viene negato lo status di profuga perché ne perde il diritto avendo soggiornato per venti giorni in Kenya. Si rivolge allora al CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati) e avvia una campagna per acquisire il diritto, per lei e per tutti i suoi connazionali, di soggiornare in Italia legalmente. Ottiene lo status di profuga dopo ricorso al TAR del Lazio, ma la sua campagna per garantire i diritti di chi come lei è fuggito da una situazione di guerra dura un anno e mezzo, durante la quale riesce a farsi ricevere dall’allora presidente della Repubblica Italiana, Francesco Cossiga. Grazie alla sua battaglia, nel 1993 viene emanato un DPR che autorizza il rilascio del permesso di soggiorno a tutti cittadini somali fino alla cessazione della guerra.
Durante quel periodo, lavora come colf in tre appartamenti nella zona di Montesacro, lavoro che le permette di inserire la figlia in un asilo nido privato.
In virtù del decreto, rinuncia però allo status di profuga optando per il permesso di soggiorno in quanto le dà più libertà per organizzare la propria e la vita e quella della bambina.
Nel marzo del 1993, partecipa — a capo di una delegazione femminile in rappresentanza delle Nazioni Unite — alla II Conferenza per la Pace ad Addis Abeba. In quella occasione, conosce il famoso generale detto il Falco Nero: il più temuto dei Signori della Guerra somali. Lui tenta in ogni modo di boicottare la conferenza, riuscendo infine a bloccarla. Allora Maryam e tutto il suo gruppo di donne intraprendono uno sciopero della fame che viene interrotto dopo l’intervento del presidente etiope. I lavori della conferenza riprendono, ma poi si concludono con un nulla di fatto.
Si iscrive alla scuola regionale presso il Policlinico Umberto I per un corso triennale per Infermieri professionali. Al terzo anno di frequenza, la legge cambia inserendo l’indirizzo fra i corsi universitari per poi diventare laurea. In quei tre anni di studio si vede costretta a mettere, suo malgrado, la figlia in un collegio a pagamento gestito dalle suore Antoniane.
Nel 1996, una volta finita la formazione, inizia a lavorare a bordo delle ambulanze. Poi passa all’assistenza domiciliare per pazienti affetti da SLA. Assunta da una cooperativa, inizia a lavorare presso un grande ospedale di Roma in qualità di infermiera. In poco tempo diventa caposala didatta e infine coordinatrice sanitaria gestendo il personale di due importanti ospedali contemporaneamente. Nel frattempo frequenta un master in coordinamento e management sanitario.
Nel corso degli anni ha istituito l’associazione di volontariato, di cui è presidente, denominata A.I.S.C.I.A. (Associazione Italo Somala Comunità Internazionale e Africana): la prima e l’unica, in Italia, costituita da donne somale e italiane. Oggi è la responsabile della Comunità somala di Roma e del Lazio, nonché una delle voci più rappresentative e autorevoli della diaspora su suolo italiano.
Vive con la figlia — diplomata al liceo Artistico ma hairstylist di professione — e l’anziana madre invalida. Con l’entusiasmo che l’ha sempre contraddistinta in ogni attività da lei intrapresa, trova comunque il tempo e l’energia per partecipare a molte iniziative e progetti volti ad aiutare gli altri.
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