Bruno Romani, nato nel 1910 a Cividale del Friuli e spentosi a Roma nel 1990, è stato un noto giornalista italiano, critico letterario e docente universitario. Proveniente dal mondo delle lettere, ha collaborato a fogli molto diversi, dal «Mondo» di Pannunzio all’«Europeo», dalla «Fiera letteraria» a «Risorgimento liberale», dal «Selvaggio» di Maccari al «Resto del Carlino», da «Primato» a «Campo di Marte». Ancora molto giovane fu Provveditore agli Studi; a quel periodo risale La Morale letteraria, un volume del 1940 non ancora dimenticato da quei pochi che ebbero la ventura di leggerlo, come Leonardo Sciascia, che ne fu un estimatore. Passato definitivamente, dopo l’ultima guerra, al giornalismo, è stato corrispondente della «Gazzetta del Popolo» e del «Messaggero», prima a Mosca, poi a New York e infine, soprattutto, a Parigi.
Alle esperienze del periodo parigino sono legati due volumi, Parigi d’oggi, del 1951, che rappresenta una viva testimonianza di un’epoca, già in parte superata, e La Francia, del 1960. L’autore ha sempre alternato il pezzo di critica letteraria all’articolo di costume, la cronaca brillante al breve saggio storico. Tale la sua cifra stilistica. Scrittore d’indubbie qualità, amico di Ugo Zatterin e di Alfredo Mezio, dei pittori (da Tamburi a Gentilini) e dei poeti (da Ungaretti a Cardarelli), ha rinunciato ai facili effetti per essere un obiettivo cronista del mondo.
Bruno Romani è stato anche un apprezzato francesista e italianista. Fu chiamato, infatti, da Mario Marti, subito dopo essersi ritirato dalla carriera giornalistica, a ricoprire la cattedra di Lingua e Letteratura Francese presso l’università di Lecce, di cui era da sempre specialista. Questa sua passione accademica è attestata da un’ariosa Storia della letteratura francese (1971), unita a una preziosa Antologia della letteratura francese, e da testi accademici come La critica francese. Da Sainte-Beuve allo strutturalismo (1968), Dal simbolismo al futurismo (1969), Controcorrente tardoottocentesca (1974), La critica letteraria tra l’Otto e il Novecento (1975), Impegno e retorica in Agrippa D’Aubigné (1976). Sul versante dell’italianistica ha scritto, senza troppa retorica, due fortunati volumi su Vincenzo Cardarelli, uno nel 1943 e l’altro nel 1972, che costituiscono due pietre miliari sul poeta di Tarquinia.
Ricordiamo le sue traduzioni dei classici francesi, da Balzac (Il giglio nella valle, 1945) a Chénier (Gli altari della paura, 1945 e 1984), da Tocqueville (Scritti sulla rivoluzione francese, 1985; Memorie, 1989) ad Alain Finkielkraut (La sconfitta del pensiero, 1989), le curatele dei libri di Pietro Giordani L’età napoleonica in Italia (1949), di Umberto Fracchia Favole e avventure e dell’antologia L’Italiano (1926-1942) di Leo Longanesi (1976), ma anche la sua parallela esperienza di narratore (Avventure: quattro racconti, 1942, illustrato da Giovanni Omiccioli; Il fortino, 1970). Ha fondato nel 1983, con Andrea Rivier (pseudonimo di Romano Romani), la rivista «L’Occhiale», inedita e sagace specola d’osservazione degli anni ’80-’90, la cui tiratura è terminata nel 2000. In occasione della sua scomparsa, avvenuta il 22 febbraio 1990, Giuseppe Grasso ne ha rievocato la figura in un commosso omaggio apparso il 2 marzo sul quotidiano «Il Popolo» di Roma.