BRESCIANI (Borsa), ANTONIO. - Gesuita, scrittore, nato ad Ala nel Trentino il 24 luglio 1798, morto a Roma il 14 marzo 1862. Di nobile famiglia, studiò con l’abate Monterossi. Ordinato sacerdote insegnò retorica al liceo di Verona, e per radicata vocazione volle far parte della Compagnia di cui presto divenne figura eminente, dimostrandosi buon educatore e pedagogista. Fu soprattutto letterato, seguace dei puristi sotto la guida del Cesari. Vasta e notevole l’opera contraddistinta da scelta dovizia di vocaboli, bel periodare, originali doti espositive e descrittive, sebbene alquanto appesantita da certa arcaica prolissità. In un primo tempo pubblicò più che altro versioni, bozzetti biografici, critici, descrittivi e morali. Con i forbiti capitoli sul Romanticismo si inseriva fra i classicisti; buon filologo si manifestava nel Saggio di alcune voci toscane, e buon archeologo ed etnografo delineando I costumi dell’isola di Sardegna.
Noto fra letterati e legittimisti, entrò per volere di Pio IX nella redazione de "La Civiltà Cattolica" col compito di sostenere attraverso il miraggio di vicende intessute sull’ordito degli avvenimenti del secolo, principi ed istituzioni tradizionali. Vi riuscì ponendosi strenuamente alla testa degli scrittori reazionari, destando larga eco con una serie di racconti, che sorpresero per ardire, per disinvoltura nell’affrontare temi, talvolta delicati e che costituiscono troppo negletta fonte storica di sintomatica consistenza. Il Manzoni lo disse prima penna d’Italia. Pio IX corresse di suo pugno sulle bozze tratti riguardanti il suo pontificato.
Aveva esordito nel nuovo genere sin dal 1846, in occasione della famosa amnistia, con Il trionfo della clemenza; continuò, tra l’altro, con Ubaldo ed Irene, che ha per sfondo la rivoluzione e l’impero; con Don Giovanni ossia il Benefattore occulto, ove sono anche interessanti cose sulla fine di Ciro Menotti e del barnabita Ugo Bassi, con la trilogia comprendente l’Ebreo di Verona, migliore fra tutti, La Repubblica Romana ed il Lionello, imperniati sui contrasti del 1846-49. Il conflitto austro-franco-sardo del 1859 gl’ispirava Giulio o il Cacciatore delle Alpi, e nel 1860 l’accorrere e il cadere magnanimo di volontari d’ogni paese a difesa dei diritti della Santa Sede Olderico ovvero il Zuavo pontificio. La morte lo colse mentre stava iniziando l’Assedio di Ancona.
Lasciò anche ricco e forbito epistolario. Tra le composizioni di indole varia vanno annoverati: Edmondo o dei Costumi del popolo Romano, che è prezioso repertorio folkloristico; La Contessa Matilde di Canossa e Iolanda di Groninga, geniale glorificazione di Gregorio VII; La Casa di ghiaccio, contenente attraenti scorci sulle missioni nelle terre boreali; Lorenzo o il Coscritto, tenue e gentile idillio d’amore e di fede. Gli si deve, inoltre, un acuto esame su L’Armeria antica del Re Carlo Alberto, l’elogio funebre dell’arciduchessa Maria Beatrice di Savoia-Este, un primo cenno sulle virtù della venerabile regina Maria Cristina di Savoia-Borbone.