Ramiro de Maeztu (Vitoria, 4 maggio 1874 - Madrid, 29 ottobre 1936) era figlio di Manuel Maeztu, un cubano con ascendenza basco-navarra, e di Juana Whitney, un’inglese figlia del console britannico residente a Parigi. A Vitoria trascorrerà un’infanzia felice alla quale seguiranno anni di incertezza e inquietudine che coincisero con la inevitabile crisi adolescenziale e con la decadenza economica della famiglia.
Dopo aver seguito gli studi liceali dovrà trasferirsi a Parigi, nel 1890, per lavorare nel commercio, ma fu licenziato perché troppo sognatore. Di ritorno a Madrid, decise un anno dopo di andare a Cuba, dove svolgerà svariati lavori, per cercare, senza esito, di salvare gli ultimi possedimenti di famiglia. Di nuovo in Spagna (precisamente a Bilbao), malato e sfiduciato, inizia la sua carriera di giornalista aiutato dalla madre che, per necessità economiche, aveva fondato un’Academia Anglo-Francesa. Comincia, così, la sua carriera nella redazione del quotidiano El Porvenir Vascongado che abbandonerà nel 1897 per trasferirsi a Madrid a ventitré anni.
Sebbene sia considerato uno dei più importanti rappresentanti della cultura spagnola del novecento e della cosiddetta Generación del 98, Maeztu negò in varie occasioni l’esistenza di tale Generación (ma ne difese con passione il lavoro svolto quando vide che fu ingiustamente criticata). In relazione alle sue idee, va detto che si differenziavano dalla letteratura tipica del «Desastre»: in realtà egli si appellava piuttosto all’industrializzazione borghese, ossia, voleva generalizzare il modello capitalista basco e catalano in modo da superare la situazione di stagnazione economica, ma non con una rivoluzione operaia bensì con una trasformazione capitalista, guidata dagli intellettuali, e da riforme che dovevano venire «desde afuera».
Del poeta e scrittore spagnolo, figura eminente durante gli anni del «regeneracionismo», bisogna sottolineare anche il ruolo di intellettuale più coerente e deciso con cui potè contare la dittatura di Miguel Primo de Rivera, poiché tra i collaboratori della rivista Acción Española, fu sicuramente lui il trait d’union con la tradizione cattolica ed il teorico di un tradizionalismo monarchico filofascista.
Nell’ambito di un nazional-cattolicesimo militante, al centro della sua opera troviamo la sua Defensa de la Hispanidad (1931) che ha rappresentato, insieme a El Estado Nuevo di Víctor Pradera (1937), al «Discurso del Teatro de la Comedia» di José Antonio (29 ottobre 1933), al saggio Anarquía o jerarquía di Salvador de Madariaga (1935) e a Genio de España di Giménez Caballero (1938), gran parte della dottrina politica del franchismo.
Con Defensa de la Hispanidad Maeztu definisce i valori storici della Spagna, «evangelizadora de la mitad del orbe; [...] martillo de herejes, luz de Trento, espada de Roma, cuna de San Ignacio [...]» (Menéndez Pelayo, Historia de los heterodoxos españoles, 1880-1882), e della sua «acción civilizadora», come una perfetta compenetrazione tra i due poteri: quello temporale e quello spirituale (la fusione dell’universalità della Chiesa Cattolica con il carattere spagnolo). Pertanto, la «Hispanidad» di Maeztu si proiettava anche verso le antiche colonie americane per poter ristabilire una comunità, creare una storia universale e l’unità del genere umano.
Il 30 luglio 1936, fu arrestato dalle forze repubblicane e rinchiuso in un carcere madrileno. Lo fucilarono, senza processo, nel cimitero di Aravaca il 29 ottobre, insieme al filosofo Ramiro Ledesma Ramos. Le sue ultime parole furono: «Voi non sapete perché mi uccidete, ma io so perché muoio: perché i vostri figli siano migliori di voi». Per il suo carattere di «apóstata del marxismo», per la sua «reivindicación de una metafísica de España» e per la sua radicale ricerca della gloria del passato, Maeztu può essere considerato un Gabriele D’Annunzio del falangismo.